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Che cosa può funzionare (o no) nel Def. Parla Paolo Savona

Promettere per poi non mantenere. Perché magari si è sballato qualche calcolo, con somme e sottrazioni che non tornano. E allora, peggio per chi ha venduto la pelle dell’orso prima di ucciderlo. Conclusioni a cui un economista del calibro di Paolo Savona (qui l’intervista di febbraio a Formiche.net) arriva abbastanza in fretta quando gli si chiede se nel Def in corso di stesura ci saranno più sogni che realtà. Del tipo, la flat tax o il reddito di cittadinanza, rispettivamente cavalli di battaglia di Lega e Movimento Cinque Stelle, sono proposte che potrebbero avere seri problemi di sostenibilità o magari non essere così urgenti.

“Peggio per loro se hanno promesso questo”, esordisce Savona a chi gli fa notare il rischio, concreto, di promesse elettorali che si infrangano contro il muro dei conti pubblici. “Io resto dell’avviso che sarebbe meglio non toccare le tasse in questa legislatura. Semmai preparare una riforma tributaria da consegnare a quella dopo. Lo dico per evitare che si cominci a smontare o modificare questa o quella tassa, il che darebbe il via a una girandola infinita di trattative, anche con l’Europa”. Anche perché a detta dell’economista è già successo quello che molti temevano con l’Europa che ha ricordato all’Italia il poco spazio di manovra: “Abbiamo già sbattuto sul muro dell’Ue”.

Al capitolo flat tax, a detta di Savona “sarebbe decisamente meno costoso e assai più equo socialmente se la flat tax fosse introdotta per tutti i residenti, evitando di aggiungere ingiuste discriminazioni tra cittadini-cittadini e cittadini di complemento. Insomma, impostata così la flat tax rischia di essere più uno spot che altro”. In pratica? “Mi riferisco al fatto che le tasse comunali vengono applicate in forma aumentata per i non residenti, come pure i costi dei servizi di pubblica utilità in violazione del principio democratico che non può essere tassato chi non partecipa alla decisione, norma aggirata perché il Parlamento autorizza a farlo. È una vergogna. E poi non dimentichiamoci che i ricchi oggi pagano meno dei poveri perché incassano cedole tassate al 26% invece delle aliquote marginali superiori al 44%: in questo senso, se si pratica la flat tax per tutti, la progressività delle imposte migliorerà, perché passerà dalla tassazione dei consumi, che saranno più elevati quanto più lo è il reddito”.

Molto meglio incidere sull’Iva, disinnescando la clausola di salvaguardia già nel Def. Per Savona è essenziale congelare l’aumento dell’imposta, visto che la stessa clausola di salvaguardia è figlia “di una demenzialità: far aumentare le tasse solo perché il governo spende di più, è un qualcosa che risale al governo Monti. Sinceramente penso che su questo tema l’esecutivo che verrà dovrebbe pronunciarsi immediatamente per bloccare la clausola”.

Terza questione legata al Def, la creatura grillina del reddito di cittadinanza. Su questo tema Savona, ma non solo, ha dei dubbi. “Altro non è che un sussidio automatico alla disoccupazione. Se passa attraverso un’attenta verifica dei destinatari allora si può fare, perché forme di sussidio esistono già da noi e il rischio è che senza una mappa di chi ne ha effettivamente bisogno, rischia di essere un incentivo a non fare niente a non cercare lavoro”.

Savona in questo senso condivide la posizione del sociologo Domenico De Masi (al quale il Movimento Cinque Stelle commissionò una ricerca dalla quale prese forma il volume manifesto Lavoro 2025): il reddito di cittadinanza può funzionare se concepito come “sussidio di disoccupazione e di povertà erogato automaticamente e non ottenuto dopo una negoziazione con le forze politiche al governo, che sarebbe un restare nella logica del passato in materia”. Purché, come detto, vada a chi ne ha veramente bisogno.

A interrogarsi sul reddito di cittadinanza è stato sempre ieri anche il presidente di Confindustria, Vincenzo Boccia. “Le cifre ci sono ma non si sa dove andranno a prendere le risorse. Sono cose importantissime, ma dobbiamo stare attenti a non sfondare il deficit, perché  significa debito pubblico. E andare a chiedere di fare più debito non mi sembra un capolavoro per l’Italia”.

 

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