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Fuori i secondi. Di Maio e Salvini prendano in mano la situazione

di maio, new york times, salvini

Diciamo che con il forte appello del Capo dello Stato di questa mattina finisce la ricreazione “post-elettorale”, di cui tutti i protagonisti hanno giustamente goduto.

Depositato il polverone emotivo delle prime ore, vediamo allora con un minimo di serenità come siamo messi davvero, per cercare di capire come si può andare avanti ed avviare una legislatura comunque già compromessa nei sui equilibri politici essenziali.
Le elezioni di domenica scorsa ci consegnano uno scenario in fondo semplice ed anche esplicito nelle sue conseguenze, composto da tre elementi essenziali (tanti quanti sono i soggetti presenti in Parlamento).

C’è un M5S in grande spolvero, forte di un risultato formidabile e dotato di un leader giovanissimo ed energico, che ha saputo gestire in maniera egregia una situazione assai complessa.

Però Luigi Di Maio è sì arrivato primo (come singolo partito), ma è molto lontano da una autonoma maggioranza parlamentare, essendo fermo a 225 seggi dei 316 necessari. Ad ogni modo lui è il vincitore di prima grandezza della tornata elettorale appena celebrata e come tale va considerato.

Poi c’è una coalizione di centrodestra, addirittura meglio piazzata del M5S in termini di voti e seggi (270 circa), ma anch’essa piuttosto lontana dalla maggioranza.

Qui emerge con forza la figura di Matteo Salvini, che polverizza l’idea “nordista” della Lega tanto cara a Umberto Bossi e riesce nell’impresa ciclopica di confinare Silvio Berlusconi in posizione di azionista di minoranza (ancorché essenziale) della coalizione: dal suo punto vista un capolavoro assoluto.
Dunque Matteo Salvini è il secondo (ed ultimo) vincitore di queste elezioni, nonché, in linea teorica, titolare della pole-position per l’incarico di formare il governo, anche perché di “coalizione” parla esplicitamente la legge elettorale, fattore di cui un fine giurista come il Presidente Mattarella terrà certamente conto.
Infine c’è la sinistra, cioè il vero soggetto politico sconfitto domenica scorsa. Ne esce battuto Matteo Renzi che porta a casa il peggior risultato di sempre del Pd, ma ne escono sconfitti anche i suoi oppositori più irriducibili, poiché il misero 3,4 % di D’Alema e compagni è un disastro non inferiore a quello del tanto detestato (da loro) ex sindaco di Firenze.

È quindi evidente che la sinistra italiana dovrà usare i prossimi mesi per una sorta di “rifondazione”, percorso difficilmente realizzabile stando al governo. Sarà la direzione del Pd di lunedì prossimo ad avviare questo percorso, innanzitutto metabolizzando le dimissioni di Renzi stesso.

Il sistema adesso ha però di fronte tre scadenze ineludibili, cioè eleggere i Presidenti dei due rami del Parlamento e poi cercare una maggioranza di governo. Allo stato nessuno ha “in casa” i numeri per fare tutte queste cose, quindi occorre discuterne tra soggetti avversari in campagna elettorale.

E siccome i vincitori sono due, cioè Luigi Di Maio e Matteo Salvini, sono loro due che debbono mettersi d’accordo. Loro due devono scegliere i due Presidenti di Camera e Senato spiegando agli italiani i termini dell’accordo, loro due debbono dirci come intendono comportarsi sul governo (difficile che possano farlo insieme) e magari sull’ipotesi di cambiare legge elettorale per tornare al voto abbastanza rapidamente. Devono farlo perché hanno vinto, perché sono giovani, perché solo così potranno diventare appieno classe dirigente.

Fuori i secondi, verrebbe da dire. Questo è il momento di Luigi e Matteo S. Prima lo capiscono è meglio sarà per tutti. Anche per loro.

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