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Goldman Sachs sbatte la porta della Casa Bianca. Incubo per Trump

Trump, Cina, naso sanguinante, congresso

In pochi si sarebbero aspettati l’ennesimo colpo di scena di un’uscita inattesa dalla Casa Bianca dopo gli ultimi fragorosi abbandoni delle recenti settimane. L’elenco interminabile dei collaboratori di Donald Trump che hanno deciso di rassegnare le dimissioni è destinato ad allungarsi e questa volta sulla lista dei dimissionari finisce un nuovo pesante nome, quello di Gary Cohn, economic adviser del presidente e direttore del National Economic Council, che ha comunicato ufficialmente la sua intenzione di chiudere un’esperienza su cui pesa un rapporto complicato con lo stesso Trump e i collaboratori più vicini al tycoon di New York.

La scena sembra ripetersi con un copione ormai consolidato e quasi prevedibile: i media iniziano a rilanciare l’indiscrezione proveniente dal 1600 di Pennsylvania Ave, funzionari dello staff presidenziale confermano in anonimato e dopo poche ore la notizia diviene di pubblico dominio.

Così è stato per le dimissioni di Hope Hicks e prima ancora per quelle di Omarosa Manigault o di Dina Powell. Un elenco lunghissimo le cui cifre hanno un peso schiacciante. È stato calcolato che la percentuale di dimissioni presentate dagli alti collaboratori di Donald Trump si attesterebbe intorno al 34%, un numero che ora è destinato a crescere.

La ritualità delle uscite dall’amministrazione Trump segue anche un altro canovaccio, quello delle motivazioni addotte per giustificare l’uscita di scena. Anche nel caso di Cohn, come per molti altri, si parlerebbe di ragioni personali, opportunità di carriera, escludendo riferimenti ad un ambiente – quello della Casa Bianca – sempre più ostile, in cui faide incrociate prendono forma in una lotta di tutti contro tutti.

Dietro la scelta delle ultime ore vi sarebbe l’inconciliabilità tra la visione di Cohn e le scelte di Donald Trump in materia di economia. I più informati parlano di uno strappo a seguito dell’annuncio del presidente sulla imposizione di nuove tariffe per le importazioni di alluminio e acciaio. Un sostenitore del libero mercato come Cohn, già capo di Goldman Sachs, non avrebbe potuto esprimere con più forza la propria contrarietà ad un provvedimento che ha destato parecchie critiche negli ambienti finanziari statunitensi. Non è certo un caso che a pochissima distanza dalla notizia delle dimissioni sia arrivato a sostegno di Cohn un messaggio via Twitter da parte di Lloyd Craig Blankfein, Ceo di Goldman: “Gary Cohn merita credito per aver servito il suo paese in un modo eccezionale. Sono sicuro di unirmi a molti altri che sono delusi nel vederlo andare via”. Poche parole ma chiare quanto basta per imprimere un nuovo duro colpo alla tenuta di questa amministrazione.

Gli scricchiolii della comunità finanziaria americana si aggiungono a quelli provenienti dalla comunità intelligence e da tanti altri settori. Sembra, dunque, inarrestabile il domino che rischia di travolgere lo Studio Ovale.


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