Il campanello ha suonato e anche forte. Speriamo che a Bruxelles lo sentano, altrimenti si rischia di passare al secondo livello, quello che può preludere anche a una potenziale disintegrazione dell’Europa. Ma guai a farsi prendere dal panico, calma e sangue freddo. Sì, il voto italiano è stato, per dirlo alla Beppe Grillo, un vaffa all’Ue del 3%. Eppure c’è ancora spazio di manovra per un’Europa meno sorda e più attenta ai bisogni dei suoi cittadini. E comunque, coi Cinque Stelle si può dialogare. Roberto Sommella, direttore relazioni esterne Antitrust, editorialista, europeista convinto, autore di saggi come Euxit, emergency exit for Europe, appena tradotto in inglese e presidente dell’associazione La Nuova Europa, vuole essere molto realista quando gli si chiede di analizzare il voto del 4 marzo e le sue conseguenze nei rapporti tra l’Ue e l’Italia.
Sommella, mettiamo che marzo partorisca, e non sarà una passeggiata, un governo a trazione grillina. Che si fa? L’Ue deve preoccuparsi?
Assolutamente no. L’imperativo è stare calmi, tranquilli, perchè a Bruxelles ci sono tanti eurodeputati a Cinque Stelle con cui si può parlare e discutere tranquillamente di euro, di Europa. Non mi allarmerei più di tanto. Il guaio, l’errore anzi, sarebbe un altro…
Quale?
Sottovalutare il significato di questo voto. Che, per dirla alla Beppe Grillo, è un vaffa all’Ue del 3%. La verità è che Lega e Cinque Stelle hanno intercettato un bisogno. Quello degli italiani di sentirsi più sicuri a casa loro. In sostanza, anche se non c’è nessuna invasione e io l’ho dimostrato nel mio ultimo libro Euxit dati delle Nazioni Unite alla mano, ha fatto premio la voglia di fermare l’immigrazione più della mancanza di lavoro. E il fatto che l’Italia sia stata lasciata sola a difendere i confini dell’Europa nel Mediterraneo. Salvando migliaia di vite umane. L’Europa non c’era e questo gli italiani l’hanno percepito perfettamente. Bastava leggersi attentamente i dati dell’Eurobarometro per accorgersene.
Va bene, ma come la mettiamo coi rapporti con l’Ue? Un impatto ci sarà per forza…o no?
Da europeista dico tre cose che il governo futuro, ammesso che si riesca a fare, dovrà fare per non creare una frattura troppo profonda, destabilizzando i mercati finanziari già abbastanza nervosi, cui il Quantitative Easing delle Bce metterà ancora per un po’ la sordina. Primo, come ho detto, cercare di darsi il prima possibile un esecutivo stabile e europeista. Secondo, che quest’ultimo garantisca la sua partecipazione al processo europeo anche in una nuova chiave riformista più vicina alle persone. Terzo, che sia abile a gestire i rapporti con l’Ue. Non è un compito proibitivo ma ci vorrà grande senso di responsabilità che comunque credo ci sarà. Siamo comunque un Paese fondatore, non scordiamocelo mai e non scodiamoci mai che veniamo da due guerre mondiali. Certo questo nuovi rapporti partiranno da una nuova base, certamente più euroscettica. Il primo appuntamento decisivo sarà l’elezione dei due presidenti delle Camere il prossimo 23 marzo, lì si capirà che maggioranze ci sono in questo nuovo Parlamento e se posono supportare un governo.
Lei parla di euroscetticismo in Italia, non le pare abbastanza per un Paese fondatore?
Certo. La portata politica di questo voto è importante. Non va assolutamente sottovalutata. Per questo sono il primo a dire che l’Europa dovrà fare tesoro di questa lezione. L’Italia ha detto col voto di domenica 4 marzo ‘Italy First’, bisogna evitare che si traduca in uno ‘Stop Europe’. Non dovrà girarsi dall’altra parte. Gli italiani, con il loro voto al Movimento Cinque Stelle, ma anche alla Lega hanno detto una cosa: ‘Ci siamo prima noi e poi gli altri’. Io non condivido, ma dobbiamo rispettare questo esito, siamo tutti italiani e abbiamo un’unica patria. Il segnale è chiaro.
Il rischio di un implosione europea c’è…
Guardi, l’Ue deve cambiare e i cittadini di tanti Paesi membri hanno perso già la pazienza, lo abbiamo visto tutti. In Francia, in Germania, nell’Europa dell’Est, in Austria, in Gran Bretagna, ovunque i partiti sovranisti si sono fatti largo. Ora tocca all’Italia. Se non si muovono le istituzioni per tempo a far cambiare marcia all’Unione saranno gli stessi europei a farlo, prima con il voto nazionale e poi tra un anno con le elezioni europee.