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Immigrazione, serve una strategia comune per superare lo stallo. In attesa del governo

Il sequestro dell’imbarcazione dell’ong spagnola Proactiva Open Arms in Sicilia, con l’accusa di associazione a delinquere finalizzata all’immigrazione clandestina, riaccende i riflettori non solo sull’opaco ruolo di alcune ong nel Mediterraneo, ma soprattutto sugli sbarchi che riprenderanno col bel tempo e sulla gestione dell’immigrazione da parte del governo prossimo venturo. Nell’attuale caos post-elettorale è passato sotto silenzio l’articolo su Il Messaggero dell’ex senatore Nicola Latorre (Pd) nel quale invita tutte le principali forze politiche a riunirsi subito dopo l’elezione dei presidenti delle Camere e dei capigruppo per individuare “una comune strategia” nella fase di passaggio tra il governo Gentiloni e il successivo. La ripresa degli sbarchi, pur se in calo rispetto allo scorso anno, rischia di avvenire appena finirà il maltempo, cioè quando ancora non ci sarà un esecutivo nella pienezza dei poteri e forse neanche con un’idea sola in tema di immigrazione.

Visto che tutto gira intorno alla Lega e al M5S, Matteo Salvini ha ripetuto “meno sbarchi, più rimpatri” prima e dopo il voto, abbandonando lo slogan sull’irrealistica espulsione di 500mila irregolari, mentre i Cinque Stelle intendono potenziare l’organico delle commissioni prefettizie che valutano le richieste di asilo e superare il trattato di Dublino. Luigi Di Maio promise 10mila assunzioni per le commissioni: giusto come proporzione, va ricordato che solo a breve saranno in servizio i 250 funzionari, assunti per concorso, previsti dal decreto Minniti dell’anno scorso. Per i 10mila di Di Maio quanto tempo occorrerà? Con quali fondi? La modifica alle regole di Dublino, che oggi prevede l’accoglienza dei richiedenti asilo a carico del Paese di primo arrivo, è ferma da tempo al Consiglio dell’Ue e il presidente del Parlamento europeo, Antonio Tajani, ha annunciato un duro intervento alla prossima riunione del Consiglio proprio per sollecitare una decisione perché senza risposte “l’Italia rischia di allontanarsi dall’Europa” considerando che “i populismi hanno percentuali di consenso altissime”.

La montagna che si troverà di fronte il prossimo governo è la stessa di quelli che l’hanno preceduto: senza un aiuto miliardario con i fondi europei, i Paesi africani non accetteranno di riprendersi i connazionali. Tema che continua a interessare la Grecia e in misura sempre maggiore, ma minimale rispetto all’Italia, anche la Spagna. L’Oim (Organizzazione internazionale per le migrazioni) ha diffuso i dati degli arrivi in Europa via mare dal 1° gennaio al 18 marzo: 12.983 rispetto ai 21.058 dell’anno scorso, con 495 vittime rispetto alle 544 dello stesso periodo del 2017. Oltre ai 6.161 giunti in Italia (oltre 10mila in meno), la Grecia ne ha ricevuti 3.948 (quasi 700 in più) e la Spagna 2.827 (quasi 1.300 in più). Pur se tra le polemiche, il lavoro della Guardia costiera libica comincia a farsi notare: 24.189 migranti fermati dall’inizio del 2017, di cui 3.399 da gennaio al 18 marzo di quest’anno.

Nei primi due anni dell’ultimo governo Berlusconi era ancora vivo Muammar Gheddafi. Nel 2008 si cominciò a parlare del sistema satellitare per il controllo delle frontiere che avrebbe consentito l’applicazione del protocollo firmato a Tripoli il 29 dicembre 2007 dall’allora ministro dell’Interno, Giuliano Amato, e dal ministro degli Esteri libico, Abdurrahman Mohamed Shalgam. Nel frattempo, si cercava di aumentare il numero dei Cie (i Centri di identificazione e di espulsione) per sostituire i Cpt (Centri di permanenza temporanea), ma setacciando l’archivio viene fuori, per esempio, che nei primi cinque mesi del 2008 su 10.500 immigrati fermati perché clandestini e quindi da espellere, solo 2.400 trovarono posti nei Cpt mentre gli altri ebbero il foglio di via che si guardarono bene dal rispettare.

Allo stesso modo, il centrodestra dovrebbe spiegare meglio che cosa intende con i respingimenti, vocabolo usato spesso in campagna elettorale. In pratica, è quello che sta facendo la Guardia costiera libica, motivo per cui va intensificata la collaborazione con tutte le autorità di quel Paese, mentre allora spesso l’Italia intercettava navi cariche di migranti in acque internazionali, li caricava su mezzi italiani come i pattugliatori d’altura della Guardia di Finanza e li riportava indietro d’accordo con i libici. Un’operazione del genere fatta il 6 maggio 2009 portò nel febbraio 2012 a una condanna da parte della Corte europea per i diritti dell’uomo per violazione del divieto di espulsioni collettive. Nel 2012 c’era il governo Monti con posizioni opposte sull’argomento: il ministro dell’Interno, Annamaria Cancellieri, garantì il rispetto dei diritti umani, “ma con altrettanta fermezza sarà contrastata l’immigrazione illegale”; di tutt’altro avviso fu Andrea Riccardi, ministro per la Cooperazione e fondatore della Comunità di Sant’Egidio, per il quale la sentenza “ci farà ripensare alla nostra politica per l’immigrazione”.

La domanda da porsi è che cosa intenderà fare il prossimo governo con gli accordi stipulati dal ministro Marco Minniti con la Libia e come proseguirà l’attività diplomatica che non si può basare sugli slogan. Ecco perché la proposta di Latorre dovrebbe essere tenuta nel giusto conto.



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