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Vi racconto la fine (ingloriosa) della Seconda Repubblica. Parla Cirino Pomicino

elezioni europee,Abruzzo

Un vero e proprio terremoto elettorale, con risultati imprevedibili che consegnano all’Italia una mappa politica radicalmente trasformata nella quale a colpire è anche il solco profondo tra Nord e Sud del Paese. Nel Mezzogiorno il MoVimento 5 Stelle ha ottenuto percentuali di consenso quasi bulgare mentre nel Settentrione domina il centrodestra, soprattutto grazie alle performance della Lega, che però ha fatto registrare una crescita esponenziale anche al Centro e nel Meridione. “Di questo voto salta all’occhio in particolare la fine della Seconda Repubblica”, ha commentato a caldo con Formiche.net uno dei veterani della politica italiana, il democristiano Paolo Cirino Pomicino.

Pomicino, un’era si è definitivamente chiusa?

Non c’è dubbio che sia così. Una fine ingloriosa. In 25 anni i partiti della Seconda Repubblica hanno distrutto la politica di cui è rimasta solamente la personalizzazione a tutti i livelli. Date le premesse, non potevano non vincere i movimenti cosiddetti populisti che si caratterizzano soprattutto per ciò che non vogliono. Appunto il MoVimento 5 Stelle di Luigi Di Maio e la Lega di Matteo Salvini.

Se li aspettava risultati così da parte di Pd e Forza Italia?

Sono stati gli assi portanti della Seconda Repubblica ed è fisiologico che, in un contesto del genere, siano stati i primi pagare. Noi italiani siamo praticamente gli unici a livello europeo a non aver conservato un nucleo di culture politiche che altrove, invece, resistono e continuano a garantire la tenuta del sistema.

Il Sud Italia ha parlato. Come valuta il quadro da questo punto di vista?

Un Mezzogiorno dimenticato che ha fatto sentire chiaramente la sua insoddisfazione. In questi anni non ci sono state politiche per il Meridione. O, comunque, sono state eccessivamente timide. E la situazione anche economica è andata aggravandosi, come dimostrano i dati sulla disoccupazione. Il Pd, ad esempio, nel Mezzogiorno ha avviato la decontribuzione economica al 100% per tre anni. Nella Prima Repubblica, invece, questa misura era decennale. Ecco come sono cambiate le politiche per il Sud in questi anni.

La preoccupano queste tendenze così contrapposte tra Nord e Sud?

Si profila un tempo buio in cui a mancare è il respiro nazionale. Il dato reale è che al Nord ha vinto lo spirito anti-europeista da un lato e anti-immigrazione dall’altro incarnato dalla Lega. Mentre al Sud ha vinto la prospettiva dell’assistenzialismo. I partiti tradizionali hanno assecondato questo processo con promesse irrealizzabili e sono stati puniti. Come spesso avviene, in questi casi – di fronte a proposte simili – si sceglie l’originale.

Cosa dovrebbe fare a suo avviso Matteo Renzi a questo punto?

Penso debba fare un’analisi profonda di quanto accaduto. Mi auguro che vari un organismo collegiale per la gestione del partito nell’attesa di avviarlo a un grande congresso nazionale. Qui è la natura stessa del Pd a essere in discussione: a poco più di 10 anni dalla sua fondazione, ancora non si è capito quale sia la sua identità. Anzi, pur essendo nato dalla confluenza tra la tradizione comunista e quella democristiana, non è né un partito di sinistra né un partito di centro. Guardi che confusione anche in Europa: fa parte del Partito Socialista Europeo ma il gruppo dirigente è democristiano.

Liberi e uguali è un progetto fallito in partenza?

Posso capire che si esca dal Pd per creare un partito realmente di sinistra. Ma questo non è avvenuto. La parola sinistra è addirittura scomparsa dal simbolo ed è venuta fuori la sigla Liberi e uguali. Un nome che non dice nulla, che non testimonia minimamente l’appartenenza a una cultura e a una tradizione politica.

C’è chi dice che il M5s sia una sorta di nuova Dc, in grado di prendere voti sia a destra che a sinistra. Che ne pensa? Anche il ceto medio italiano ha scelto i pentastellati.

Non c’è dubbio che il lento periodare di Di Maio sia un valore aggiunto. Però i contenuti, a mio avviso, sono pressoché nulli. E poi la loro organizzazione statutaria – con un un capo che decide assolutamente tutto – ripropone pienamente, anzi in modo ancora più forte, il problema dell’eccesso di personalizzazione che ha caratterizzato e fatto fallire la Seconda Repubblica.

Però dagli italiani non è arrivata un’indicazione chiara?

È arrivata una forte, fortissima, richiesta di discontinuità, non c’è dubbio. Ma bisognerà vedere come questo segnale inequivocabile si trasformerà in un governo per il Paese. Occorre una profonda ricostruzione del sistema politico italiano: il centrodestra e il centrosinistra – così come li abbiamo conosciuti – non esistono più. Ma d’altronde erano una finzione, privi di una solida cultura e visione politica alla loro base.

Sulla base delle indicazioni arrivate finora quale scenario ritiene più probabile?

La partita, ora, è nelle mani del Capo dello Stato che potrà fare affidamento sulle procedure e sui protocolli previsti dal nostro sistema costituzionale. Sulla base dei dati finora disponibili, comunque, ritengo che la soluzione più probabile possa essere un governo del Presidente.

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