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L’Italia come la Concordia? Le elezioni viste da Luigi Zingales su Foreign Policy

L’Italia che come la Costa Concordia si appresta a sbattere contro gli sogli e ad arenarsi dinanzi all’isola del Giglio. L’immagine – non proprio ottimista – è stata pensata per descrivere l’effetto dell’imminente risultato elettorale. A pubblicare questa analisi non è stato un giornale italiano bensì una influente rivista americana, Foreign Policy. A formularla non è stato un giornalista di Washington o di New York ma un professore italiano che vive e lavora negli Usa. La firma infatti è quella di Luigi Zingales (nella foto), economista e docente alla University of Chicago Booth School of Business.

“Una bella nave che affonda lentamente a causa dell’inettitudine del suo capitano – o dei capitani”. Nel suo intervento, Zingales disegna un quadro denso di preoccupazioni ed interrogativi sul futuro – non solo politico – del Paese. “La maggior parte dei cittadini riconosce che la nave italiana stia imbarcando acqua e che in teoria vi sia il rischio di affondare per il default del suo debito pubblico. Ma gli stessi hanno fiducia che lo Stellone Italiano (la loro buona stella) possa salvarli all’ultimo minuto, proprio come ha storicamente salvato la squadra di calcio ai mondiali”. Il fato verso la razionalità. Non c’è molto ottimismo verso le capacità dei concittadini. Fra pallone e naufragi, la metafora prosegue. “Proprio come la stella fortunata italiana sembra aver abbandonato la nazionale di calcio, che non è riuscita a qualificarsi per la prossima Coppa del Mondo per la prima volta in 60 anni, la fortuna potrebbe rivelarsi inadeguata in quanto l’Italia si avvicina alla combinazione astrale di tre fattori cruciali: la fine del quantitative easing, la possibilità di una recessione statunitense (che alcuni analisti stimano al 50% nei prossimi due anni) e gli esiti delle elezioni del 4 marzo”.

Secondo l’economista italiano basato a Chicago, l’allarme rosso corrisponederebbe ad una realtà su cui gravano una serie di circostanze, non adeguatamente considerate da Roma: la mancanza di crescita nella produttività, le prospettive demografiche assai negative, i livelli oppressivi di debito pubblico e un impasse nell’eurozona che da un lato mette il Paese a rischio continuo di attacchi speculativi e dall’altro priva di significato le elezioni, generando un senso di perdita di sovranità che alimenta nazionalismi e populismi. E se l’immagine della Costa risulta al tempo stesso efficace ma anche imbarazzante per chi ha amor proprio, non vi è dubbio che, per chiunque abbia praticità con i numeri dell’economia, l’analisi di Zingales abbia un certo fondamento. Ed a ripensare a tutte le promesse ascoltate in campagna elettorale un brivido non può non percorrere la schiena.

D’altronde il complesso ed articolato approccio dei cittadini al voto non lascia perplessi solo in Italia. Anzi, a ben vedere, le nostre elezioni vedono protagoniste forze politiche meno antisistema di come si presentavano anche solo un anno fa. Basti pensare che l’ideologo del trumpismo, Steve Bannon, venuto a Roma per conoscere da vicino i presunti emuli (Matteo Salvini e Luigi Di Maio) non sarebbe riuscito ad essere ricevuto da nessun esponente di rilievo della tanto vituperata politica italiana. Al guru cacciato dalla Casa Bianca per via delle sue opinioni radicali (è un estimatore di Evola, pensatore apprezzato da Hitler) è andata meglio proprio a Chicago nella università dove insegna l’economista italiano. La presenza di Bannon – chiamato a dire la sua su immigrazione e globalizzazione – è stata oggetto di contestazioni particolarmente forti ed ha suscitato indignazione nel campus. Ad invitarlo era stato proprio Luigi Zingales. A dimostrazione che a volte avvicinarsi troppo per fare l’inchino può causare qualche falla. Anche alle navi migliori.

Lasciando da parte il richiamo fatalista alla buona stella, preferiamo rimboccarci le maniche per portare l’Italia nel porto più sicuro. Dopo tutto, la storia non finirà domani, ad urne chiuse.


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