Si alza il livello. Si alza il livello delle indagini e dei successi investigativi a fronte dell’innalzarsi dell’attività di indottrinamento e di reclutamento dei terroristi islamici in Italia. Nel giro di due giorni sono emerse situazioni di altissimo rischio: il 27 marzo a Foggia è stato arrestato un egiziano di 59 anni con cittadinanza italiana (grazie a sua moglie) che insegnava ai bambini come uccidere i “miscredenti”, mostrando filmati di gente sgozzata; il 28 marzo a Torino è stato arrestato un marocchino naturalizzato italiano di 23 anni per partecipazione all’associazione terroristica dello Stato islamico: svolgeva un’intensa attività sul web per proselitismo e indottrinamento utilizzando molto materiale inneggiante al jihad e stava pensando di compiere attentati con autoveicoli o con coltello e per questo cercava “lupi solitari”.
LA RETE DI TORINO
L’operazione di Torino è stata condotta dalla Digos e dal Servizio per il contrasto dell’estremismo e del terrorismo esterno dell’Ucigos, coordinata dalla procura del capoluogo piemontese, e ha portato alla luce una rete comprendente altri soggetti sia stranieri che italiani convertiti all’Islam tanto che 13 perquisizioni hanno riguardato persone che abitano soprattutto nel Nord Italia e che gravitano nell’ambiente del radicalismo islamico. Sono stati interessati agenti di Milano, Napoli, Modena, Bergamo e Reggio Emilia. Elmahdi Halili, residente a Lanzo Torinese, era sotto controllo da tempo perché nel 2015 aveva patteggiato una pena di due anni di reclusione con sospensione condizionale per istigazione a delinquere con finalità di terrorismo proprio per aver redatto e pubblicato sul web documenti a favore dell’Isis. Pur non conoscendo gli atti di quel processo, è lecito domandarsi perché si conceda la condizionale a un tipo del genere?
I PREDICATORI DELL’ODIO
Halili non si era fermato neanche dopo la condanna diffondendo i messaggi più cruenti dei “capi” dell’Isis come Anwar al Awlaki, il più famoso predicatore del terrorismo online tanto da essere definito il bin Laden di Internet, ucciso da un drone americano nel settembre 2011, o come il portavoce del Califfato, Mohamed al Adnani, ucciso nell’agosto 2016 ad Aleppo, in Siria. In seguito alla morte di al Adnani, Halili aveva diffuso i principali messaggi del terrorista tra i quali quello del settembre 2014 con il quale incitava il jihad in Europa cui seguirono gli attentati dal 2015 in poi.
ATTACCO CON CAMION E LUPI SOLITARI
Halili era organizzato e meticoloso. Recuperava materiale jihadista in arabo e in inglese e lo traduceva in italiano per facilitare il reclutamento online. In tempi recenti si informava su come organizzare un attentato utilizzando autoveicoli o camion piuttosto che un coltello leggendo la rivista online “Rumiyah”. Per questo “abbiamo dovuto agire immediatamente per eliminare questa minaccia” ha detto il questore di Torino, Francesco Messina. Inoltre, Halili ha cercato e qualche volta incontrato soggetti disponibili a compiere attentati, italiani convertiti, ghanesi, marocchini, potenziali lupi solitari. Ulteriore elemento significativo è che il ragazzo era stato in contatto con due foreign fighter, Abderrahim Moutahrrik e Abderrahmane Khachia, arrestati il 26 aprile 2016 per associazione con finalità di terrorismo.
LE CONSEGUENZE DELLA GUERRA
L’inchiesta di Torino è la conferma di letture investigative e geopolitiche fatte negli ultimi mesi. Halili ha gridato “Tiranni, vado in prigione a testa alta” ed era stato allontanato perfino dalla sua famiglia per i suoi atteggiamenti radicali tanto che non voleva che sua madre toccasse il suo cibo. Un soggetto radicalizzatosi online e poi con l’intenzione di agire nonostante la famiglia sia definita perbene: madre muratore in Italia dal 1989, madre casalinga, sorella studentessa. Secondo il questore di Torino l’intensificarsi dell’attività del marocchino derivava dalla sconfitta militare dell’Isis in Siria e Iraq: anche se il grosso dei foreign fighter sembra essersi diretto verso altri teatri di crisi come l’Afghanistan, qualcuno può comunque riuscire a raggiungere l’Europa e comunque il messaggio rivolto ai jihadisti residenti nel Vecchio Continente è quello di agire.
LA MINACCIA INTERNA E L’UNITÀ DELLA POLITICA
Il ministro dell’Interno, Marco Minniti, in un’intervista a La Stampa ha confermato questo concetto, espresso più volte: perdere Raqqa e Mosul “aumenta la pericolosità dell’altra componente, quella terroristica”. Dopo l’attentato nel supermercato francese di Trebes, il presidente Emmanuel Macron qualche giorno fa parlò di “minaccia endogena” e la scoperta del centro di culto di Foggia con l’indottrinamento dei bambini secondo Minniti è uno scenario “agghiacciante che non ha eguali in Occidente”. Rispetto al terrorista francese già noto all’intelligence e alle polizie d’Oltralpe, eppure autore dell’attentato nel supermercato, finora in Italia i terroristi li arrestano o, se solo sospettati, li espellono. Ma ora, qualunque sarà il nuovo governo, è bene che non ci siano speculazioni, bensì unità di intenti. Minniti nell’intervista ha ricordato la vittoria al terrorismo politico e mafioso senza leggi straordinarie grazie all’unità delle forze politiche. La senatrice di Fdi, Daniela Santanchè, commentando gli arresti di Torino si augura che “il futuro governo dia luogo a una politica massiccia di rimpatri per ragioni di sicurezza nazionale prima che accada qualche tragedia”. Attenzione al dettaglio: i rimpatri per sicurezza nazionale sono le espulsioni che vengono effettuate da tre anni, non i rimpatri di immigrati irregolari che sono impossibili finché i Paesi africani non decidono di riprenderseli. Certamente l’antiterrorismo intensificherà la prevenzione e forse aumenteranno le espulsioni, nel frattempo questa lotta è bipartisan, sempre sperando che la legge sulla deradicalizzazione non approvata nella scorsa legislatura sia tra le prime a trovare spazio in questa appena iniziata. Sarebbe molto importante se Matteo Salvini s’impegnasse su questo dopo aver ribadito la speranza di poter espellere i clandestini commentando l’inchiesta di Torino.