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Il veleno nelle relazioni fra Occidente e Russia. La mossa inglese e l’imbarazzo italiano

L’avvelenamento dell’ex spia russa a Salisbury ha permesso al Regno Unito di uscire dall’isolamento della Brexit, magnetizzando su di sé il sostegno dell’Occidente. Con la reazione dura del governo inglese contro Mosca — le accuse palesi, le prime ritorsioni, le minacce — Londra si sta intestando il ruolo di guida nel processo transatlantico: sotto questo aspetto il tentativo di omicidio, che via via è diventato un affare internazionale sempre più grosso, s’è trasformato in un’opportunità, che la premier ha saputo cogliere.

Secondo un’analisi pubblicata sul sito dell’International Institute for Strategic Studies firmata da Samuel Greene, direttore del Russia Institute del King’s College di Londra, “la risposta può e dovrebbe essere una riconfigurazione generalizzata del regime di sanzioni nei confronti della Russia. Salisbury non dovrebbe mettersi in coda dietro Crimea e Minsk: dovrebbe sostituirli e avvolgerli”.

Un processo su cui Londra avrà ruolo di leadership, perché per Greene, il Regno Unito dovrà convincere gli alleati a perseguire secche misure interdipendenti volte a minare la capacità del Cremlino di sostenere la crescita economica e il benessere a breve e medio termine – che è il grande cruccio di Putin, chiamato a sostenere con la partecipazione al voto di domenica 18 marzo la sua azione di governo ventennale.

Da qui, per l’analista, si partirebbe con un sistema di costi-benefici che potrebbe permettere a Mosca di vedersi allentate le sanzioni solo previa risoluzione di situazioni controverse come: identificare e permettere la punizione dei responsabili dell’attacco di Salisbury; fornire piena trasparenza per il programma di armi “Novichok”; ritirare in modo dimostrabile e verificabile personale e materiale militare e paramilitare russo dal Donbas; ripristinare il controllo di Kiev del confine nelle oblast di Luhansk e Donetsk; il ripristino della sovranità di Kiev sulla Crimea.

Un panorama ampio, che il Cremlino potrebbe completamente o parzialmente respingere (vedere per esempio il punto sulla Crimea), e che coinvolgerebbe non solo il Regno Unito ma tutti i suoi partner occidentali, compresa ovviamente l’Italia, che finora evita di esprimere posizioni nette.

Il Regno Unito intanto espellerà 23 “diplomatici” russi dopo che Mosca si è rifiutata di spiegare come mai un agente nervino militare prodotto in Russia è stato usato sull’ex colonnello dei servizi segreti militari Sergei Skripal avvelenato insieme alla figlia in un parco di Salisbury domenica 4 marzo (secondo quanto dichiarato alla BBC dall’esperto di armi chimiche inglese Hamish de Bretton Gordon, il veleno Novichok sarebbe stato creato nella base di ricerca militare di Shikhany, nella Russia centrale, e dunque potenzialmente utilizzabile solo da uomini dell’apparato armato del governo russo: tesi sostenuta anche dall’ambasciattore inglese all’Onu, Jonathan Allen).

La premier inglese Theresa May parlando ai Commons ha detto che i diplomatici, che hanno una settimana di tempo per lasciare il suolo britannico, sono stati identificati come “ufficiali dell’intelligence non dichiarati”; spesso gli Stati usano la copertura diplomatica delle ambasciate per nascondere agenti segreti, a volte noti al controspionaggio locale (per esempio: questo genere di 007 russi in Inghilterra potrebbero avere il compito di osservare a distanza le mosse di esuli fuggiti dal Cremlino e i loro ricchi affari e movimenti tra Belgravia e Mayfair. E potrebbero essere accettati dal governo inglese, che ne monitora comunque costantemente le attività, ammesso che mantengano sempre un basso profilo, e sfruttando questa libertà per scambi di informazioni che Scotland Yard e l’MI5 considerano interessanti; ma l’assassinio di un ex spia, che tra l’altro forse stava collaborando con le agenzie di intelligence inglesi, è tutt’altro che tollerabile). L’ultima decisione del genere risale al 1971 — l’Operation Foot nel pieno della Guerra Fredda — quando il governo inglese ordinò l’espulsione di 91 diplomatici operativi per il Kgb.

La reazione inglese era attesa, arriva ai margini della riunione del consiglio di sicurezza nazionale, e potrebbe non fermarsi qui — una fonte diplomatica di Formiche.net sostiene che “gli inglesi fanno sul serio e andranno fino in fondo” e sono pronti a far valere la propria voce (rafforzata) portando la questione in sede Nato, che intanto ha dichiarato che l’assassinio è “profondamente preoccupante”, perché si tratta di una “chiara violazione delle norme e degli accordi internazionali”.

Londra – che ha anche fatto sapere di aver ritirato un invito precedente al ministro degli Esteri russo, sospeso tutti i contatti bilaterali di alto livello pianificati tra Regno Unito e Russia e annunciato che né la famiglia reale né i ministri parteciperanno alle cerimonie di contorno ai prossimi Mondiali di calcio Russia 2018 – potrebbe ottenere anche l’allargamento della reazione, visto che può contare già sul supporto di Stati Uniti e Francia (Parigi ha detto che agirà “di concerto”).

Mosca, che nega ogni coinvolgimento e ha fatto saltare la scadenza fissata da Downing Street per dare spiegazioni sull’accaduto (per gli inglesi la mancata risposta è stata un’espressione di “sarcasmo, disprezzo e sfida”), ha replicato che l’espulsione dei diplomatici (una misura già subita come reazione rapida con cui l’amministrazione Obama punì nel dicembre 2016 l’interferenza nelle presidenziali) è “inaccettabile, ingiustificata e miope”; e il ministero degli Esteri ha bollato come “una provocazione senza precedenti” le dichiarazioni di May – il ministro Sergei Lavrov ha proposto, provocatoriamente, una collaborazione a Londra, ammesso che il governo inglese avanzi richiesta di chiarimenti formali nell’ambito della Convenzione internazionale sulle armi chimiche.

“Secondo la narrativa geopolitica centrale dell’attuale incarnazione del putinismo, la Russia è semplicemente troppo formidabile e temibile per essere ignorata. Si tratta di dimostrare che la Russia non solo ha la capacità di agire, ma anche la volontà di agire”, ha detto al New York Times Mark Galeotti, uno dei massimi esperti al mondo sugli affari russi, spiegando che Mosca non si scuserà mai per quanto accaduto. Fondamentalmente, l’attacco a Skripal ha solo aggiunto statura al presidente, almeno tra la sua base in patria, facendolo passare come un impavido difensore della nazione pronto a fare qualsiasi cosa, non importa quanto rischiosa, per affermare lo status della Russia come una grande potenza da temere.

Gli inglesi però non arretrano: data l’assenza di una giustificazione da parte della Russia, considerano l’avvelenamento di Skripal sul proprio territorio come “uso illegale della forza” da parte di Mosca, e la premier ha commentato che “non c’è altra soluzione alternativa se non che lo stato russo è colpevole” dell’omicidio, e che è stato “tragico” che il presidente Vladimir Putin abbia “scelto di agire in questo modo”. (Il Foreign Office ha aggiornato i suoi consigli di viaggio, scrivendo nella nota accompagnatoria per i cittadini inglesi che vogliono dirigersi in Russia che “sono aumentate le tensioni politiche” e questo significa che i britannici devono “essere consapevoli della possibilità di sentimenti anti-britannici o di molestie in questo momento”).

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