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Da Bannon al caos dell’ordine mondiale, l’Italia deve avere chiara la rotta. Parla l’ambasciatore Massolo

Massolo

L’agenda internazionale è stata bombardata, il contesto globale è incerto e fluido e le reti di protezione non ci sono più. È questo il quadro, piuttosto fosco, delineato dal presidente Ispi, l’ambasciatore Giampiero Massolo, nel suo intervento all’evento Menabò, organizzato da Formiche.

l’Italia deve trovare la propria collocazione, ormai da tempo non più garantita dallo schema bipolare della Guerra Fredda. Gli Usa, che per lungo tempo hanno assolto il compito di potenza regolatrice, non sono più disposti a farlo e non ci sono candidati papabili all’orizzonte pronti a sostituirli. Il trumpismo, avverte Massolo, in tutte le sue declinazioni nazionali, non è una “febbre” passeggera, ma è piuttosto il sintomo dell’incapacità della politica di fornire risposte organiche alle ansie e alle paure dei cittadini di fronte alla faccia brutta della globalizzazione. L’Ue, da parte sua, è in preda a un processo molto delicato di transizione, schiacciata dalla nuova competizione tra grandi potenze.

Qual è, in questo contesto, l’interesse nazionale dell’Italia? Come perseguirlo? Secondo il Presidente Ispi è fondamentale imboccare un sentiero in salita, quello della faticosa ricostruzione della nostra credibilità internazionale che, riconosce Massolo, negli ultimi tempi non abbiamo fatto nulla per sostenere.

Ambasciatore, nel suo discorso lei ha parlato della crisi profonda che attraversa l’ordine liberale. Steve Bannon, nel suo viaggio in Europa, ha indicato l’Italia come il cuore della rivoluzione dei movimenti populisti mondiali. 

L’Italia è stata spesso un laboratorio politico internazionale. Devo dire che effettivamente anche questa volta abbiamo trovato la maniera di canalizzare un certo movimento dell’opinione pubblica in forze politiche che hanno una loro logica e trovano una loro composizione all’interno del sistema politico e non al di fuori di esso. Credo che sia molto importante che una cosa del genere avvenga e credo che sia molto importante, da questo punto di vista, che tutte queste forze anche nuove trovino una loro collocazione istituzionale all’interno del sistema politico.

L’ascesa dei partiti diversi da quelli tradizionali può essere un’opportunità?

Questa è una scommessa, anche perché l’idea che vi sia stato un consenso così ampio, per certi versi inatteso, nei confronti di chi è stato visto interpretare un nuovo modo di fare politica non è un’occasionale spinta di febbre, ma è il sintomo di quanto sia sentito il bisogno di sicurezza e di prospettiva nelle nostre opinioni pubbliche. Non possiamo permetterci di sprecare l’occasione, e lo dico senza spiriti di parte, ma in termini sistemici, di funzionamento del sistema politico.

Lei ha insistito molto sul tema dell’interesse nazionale. L’Italia in questo senso paga la sua incapacità di parlare con una voce sola rispetto ai grandi temi che dominano l’agenda internazionale? Penso per esempio ai rapporti con Mosca e al recente caso Skripal, dove la condanna unanime delle grandi capitali europee ha fatto da contraltare al silenzio dei leader politici italiani.

L’Italia vive una fase post-elettorale non facilissima, quindi è normale che le prese di posizione possono a volte anche un po’ tardare o essere frutto di mediazioni di vario genere, è normale e succede anche in altri Paesi. Io credo che l’interesse nazionale è normalmente la sintesi di varie istanze, quindi trovo salutare che vi sia una dialettica forte e che vi sia anche in materia di politica internazionale. Certo, poi ci vuole maturità e cultura politica per fare la sintesi. Credo che questo si molto importante da sviluppare nel nostro Paese.

Ma dov’è adesso il nostro interesse nazionale? 

L’Italia ha una sua collocazione naturale e tutt’ora molto importante al centro del Mediterraneo in un’area geopolitica che è un’area interessata da fenomeni di jihadismo, di terrorismo da conflitti anche piuttosto rilevanti tra sciiti e sunniti, un’area dove l’instabilità è piuttosto estesa e rischia di ripercuotersi sull’Europa e all’interno dei nostri confini nazionali. Quindi una prima esigenza ovvia è quella di fare sicurezza, di contribuire al sistema internazionale di sicurezza.

L’Europa che ruolo gioca in questa partita?

Stare autorevolmente in Europa è condizione essenziale per fare i nostri interessi, al di là di quello che si possa ideologicamente pensare dell’Unione Europea e delle cessioni di sovranità. In questo momento lo stare in Europa è uno dei modi per assicurare prospettiva di vita e sicurezza ai nostri cittadini, e quindi è nel nostro profondo interesse nazionale farci valere all’interno delle collocazioni internazionali, per rispondere al bisogno che viene dall’opinione pubblica.

Quasi trent’anni dopo la caduta del muro di Berlino, l’Italia fatica ancora a trovare il suo ruolo in un assetto internazionale diventato molto più fluido e mutevole?

È necessario avere una visione chiara delle nostre alleanze. Noi siano nell’occidente, siamo nella Nato, siamo alleati degli Stati Uniti e di altri Paesi europei membri dell’Ue. Questo però non esclude che non si possano avere collaborazioni e dei rapporti, anche forti, di partnership con altre potenze e parlare la voce della ragione per quanto riguarda i rapporti con altri Paesi, a cominciare dalla Russia, ma sempre tendendo fermo il punto che le nostre alleanze sono in occidente.



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