Ogni 8 marzo si celebra la festa della donna. Per non banalizzare, vale sempre la pena anzi è bene ricordare la tragica radice storica di questa festa. Il rischio, altrimenti, è che la giornata diventi soltanto una celebrazione e un rito di festa. È invece opportuno ricordare, soprattutto alle giovani generazione, le origini antiche, storiche e tragiche di questa data. Solo così si può, infatti, approfittare di tale ricorrenza per fare meno retorica e ribadire ciò che resta ancora da fare, analizzando la reale condizione femminile al di là di garanzie e delle tutele legislative che pure, fortunatamente, ci sono. Esiste ancora, infatti, uno scarto tra la parità normativa e descrittiva, garantita dalla legge, e la parità sostanziale e sociale, quella di fatto e che è vissuta nel quotidiano.
Penso ad esempio ad alcuni nodi che restano ancora critici o addirittura irrisolti, come le politiche di conciliazione vita-lavoro o i differenziali retributivi tra uomo e donna a parità di mansioni e di ruoli, differenziali che si annidano nella parte accessoria del salario. Penso con dolore anche alle tante forme di violenza di genere, da quella domestica subita dal partner intimo, allo stalking e al mobbing. Penso inoltre a quanto magari non avviene a casa nostra, ma neanche poi così lontano da noi. Ossia alla tolleranza inaccettabile che esiste a livello mondiale rispetto ai matrimoni forzati, alle cosiddette spose-bambine, esattamente come penso con grande indignazione alla pratica delle mutilazioni genitali femminili che viene ancora praticata in alcuni Paesi. Penso inoltre allo sfruttamento lavorativo e sessuale, alla tratta delle donne e delle bambine e penso a tutti i gender gap presenti nelle istituzioni, nelle amministrazioni, nei cda (nonostante la legge) e in tutte le posizioni apicali. Penso anche a quanto ancora resti di sessista ed offensivo in un certo linguaggio che circola nei social media o addirittura anche in un certo tipo di pubblicità.
E allora si può approfittare di questa festa per riflettere, per festeggiare con meno ipocrisia e magari con meno strumentalizzazioni, pensando a quello che la politica deve ancora fare per rispondere ai reali bisogni delle donne. Festa sì, ma con consapevolezza e pragmatismo dunque, senza rivendicazioni strumentali, ma con la coscienza che ancora molto resta da fare su questa strada.
In particolare, un pensiero va a tutte le donne impegnate nelle Forze dell’ordine e nelle Forze armate, con carriere e ingressi difficili, taluni anche relativamente recenti. Le donne sono entrate nelle Forze armate a partire dal 2000, e da allora si sono conquistate un ruolo importante, non escluso quello nelle missioni internazionali. La presenza femminile rappresenta ormai la “normalità” in ogni attività militare, sia in ambito nazionale sia nei teatri operativi internazionali. La componente femminile, impegnata nelle operazioni di peace keeping e peace building, rappresenta, in particolare, una risorsa fondamentale nell’interazione con la popolazione civile locale e, di conseguenza, nel perseguimento delle finalità delle missioni nei teatri operativi e degli scopi di cooperazione civile-militare. Le donne militari, in ambito nazionale e nelle operazioni internazionali, contribuiscono alla sicurezza, sono un moltiplicatore di forza e di efficacia nella ricostruzione, nei processi di stabilizzazione e nel mantenimento della pace.
Come nelle Forze armate, così in ogni altro settore le donne sono riuscite lentamente ma inesorabilmente ad entrare e hanno saputo difendere quel valore aggiunto che è l’impegno femminile, fatto di passione, di sacrificio, di idealità e molto spesso anche di buon governo. Buona festa!