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Paura populismi? Una lettura critica dell’editoriale di Ezio Mauro su Repubblica

Siamo ormai giunti alla fine della campagna elettorale. Poco resta da dire d’intelligente, in verità, che non sia già stato detto e dibattuto. Quasi tutto è stato sviscerato, infatti, nel corso di queste ultime quattro settimane di confronto e scontro durissimo e competitivo tra le forze politiche e tra i diversi osservatori.

Rimane il compito interpretativo, che già fa capolino sui giornali, ma su questo ci concentreremo a partire dalla prossima settimana, con i risultati numerici in mano.

Il centrodestra ha puntato su sicurezza, discontinuità e crescita. Il Pd su speranza, continuità e progresso. Il M5S su moralismo e innovazione. LeU su utopia e realtà immaginaria. Al di là delle diagnosi spericolate e assai divergenti, è degna di nota la modalità un po’ apocalittica con cui Ezio Mauro su Repubblica riassume una certa lettura delle cose.
Tornano in pista antichi tic concettuali, molto cari alla cupa ermeneutica catastrofica della sinistra colta, com’è e resta quella del quotidiano fondato da Eugenio Scalfari.

Mauro, in particolare, pone l’accento sul carattere dirompente dei due populismi principali, quello che egli chiama “fascioleghismo” e quello opposto “grillino”. La tesi è che cambia l’obiettivo polemico, ma la sostanza non muta in entrambi. Due espressioni, insomma, del male italiano, per tanto tempo disprezzato e snobbato con perseveranza dalle aristocrazie di quel pensiero.

Oggi nei populismi si preferirebbero sicurezze retrive a diritti illuminati, presentando la creazione di “due immaginari separati e distinti che compongono un mondo antisistema dove l’unica moneta è l’antipolitica”. Mauro aggiunge la consueta, ormai appannata e noiosa retorica del conflitto d’interessi, dell’amnesia italiana, e così via.

L’editoriale, al di là delle opinioni di merito, è tuttavia bello e soprattutto sintomatico, esplicativo esattamente, a mio modo di vedere, delle ragioni metafisiche di quella che si annuncia, comunque vadano i risultati, come la più colossale e sistematica sconfitta della sinistra culturale e politica italiana.

La ragione vera sta nell’errore di fondo presente nella stessa sua narrazione, che si presenta oggi totalmente sganciata dalla vita reale, impedendo di comprendere a fondo cosa avviene intimamente nell’animo e nel cuore degli italiani.
La paura sicuramente c’è. Ma tale inquietudine non è alimentata ad arte dalla comunicazione strumentale, è fondata viceversa sulla percezione che offre alla gente comune l’assetto globale del mondo creato dai grandi movimenti progressisti europei, negli ultimi vent’anni.

La scommessa della globalizzazione come grimaldello del multiculturalismo, la demolizione alla fonte dell’identità spirituale e materiale della coscienza nazionale, attraverso battaglie ideologiche come quella sui diritti civili e il biotestamento, il manicheismo superbo che separa i buoni dai cattivi, assecondando il potere dei primi contro il contropotere dei secondi, hanno determinato lo smarrimento collettivo che è oggi il coagulo più solido degli elettori moderati e delle loro guide politiche. Non capire questo fatto vuol dire pensare che veramente si continui ad avere ragione persino quando è lampante che si ha avuto torto su tutto, cominciando dall’interpretazione filosofica della realtà.

Non si sa ancora come andranno le elezioni. Vedremo. Anche se non dovessero esserci né vincitori né vinti, il paese è cambiato e ha celebrato il grande disinganno, durante quest’ultimo tormentato tratto di strada. Il complesso di inferiorità verso l’élite culturale gauche, che ha indovinato il disastro producendo lo smarrimento di senso nella psicologia delle folle, è finito per sempre.

Ci ha pensato Matteo Renzi e Beppe Grillo, in prima istanza seppure in modo opposto, a distruggere l’egemonia intellettuale di un determinismo universale che non corrisponde praticamente più a nulla di positivo. Adesso toccherà al centrodestra, maggioritario o meno, con la sua forza indubbiamente supponibile proporre un’alternativa profonda e costruttiva che faccia ritornare gli italiani in armonia con se stessi, liberando l’energia del concreto dalla falsa elaborazione rappresentativa di un’erudizione distaccata dalle persone e interessata solo a se stessa, che ha mancato completamente e definitivamente il bersaglio, spacciando alcuni plastici idola tribus per valori importanti, e disdegnati e macroscopici poteri soggettivi per beni comuni fondamentali.

Il ritorno al particolare, al comunitario, il recupero di una sovranità in cui il nostro Noi possa tornare a interloquire con l’Europa e col mondo intero, consapevole di sé e a testa alta, ma anche la fiducia che quanto pensiamo nella nostra testa d’intellettuali debba adeguarsi al sentire che esiste prima di tutto nel cuore della gente, è la vera grande rivoluzione sotterranea che si è palesata in questa campagna elettorale come granitica energia nazionale, che adesso vuole contare ed essere influente, senza gravi complessi di inferiorità.

Leggendo Mauro l’impressione della fine di un’epoca diviene quasi un’evidenza divinatoria. E, in ogni caso, vinca chi vinca, l’eredità subcosciente della sostanza politica nazionale è tornata a pesare, emancipandosi da gabbie di parole che esprimono soltanto una pseudo rappresentazione progressista fallita, che si confessa così già in declino prima ancora della fine del tempo.

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