“Io non vedo l’ora che falliscano, il Pd in nessun modo può fare il tifo per un governo populista-sovranista che rischia di essere un danno per il paese”. La risposta di Walter Verini, deputato storicamente vicino a Veltroni, al presidente dei senatori democratici che su Fb ha scritto di “non vedere l’ora che giuri un governo Salvini-Di Maio” è netta, e inequivocabile. Ma sul resto, sulla collocazione del Pd sulla sponda opposta ad un governo giallo-verde, il deputato dem non ha dubbi.
Onorevole Verini, la situazione del Pd è molto particolare. Renzi lancia il motto “Tocca a loro”, che si è trasformato, secondo alcuni esponenti del suo partito, in una sorta di immobilismo. Dopo aver guardato la partita della presidenza delle Camere, che ruolo dovreste giocare durante le consultazioni? Mettervi all’opposizione da subito?
Io penso che noi democratici siamo una minoranza ed è giusto che coloro che dicono di aver vinto le elezioni, che in realtà sono coloro che hanno preso più consensi, e intendo dire il M5S e la coalizione di centrodestra, provino a indicare al paese una prospettiva di governo. E in questo quadro è fisiologico che il Pd faccia l’opposizione. Questa è la situazione alla vigilia delle consultazioni. Io interpreto così il “Tocca a loro”: sono loro che devono farsi carico di una prospettiva di governo. E viste le differenze tra noi e i Cinque Stelle e tra noi e Lega e – per alcune cose – tra noi e Forza Italia, i democratici è giusto che dicano che siamo forza d’opposizione.
Quindi vedrebbe bene un governo “Giallo-verde”?
Io personalmente, dicendo questo, non mi auguro che Lega e Cinque Stelle facciano il governo. Un esecutivo populista-sovranista non è una prospettiva positiva per il paese.
Il presidente dei senatori del Pd Marcucci scrive su Fb: “Non vedo l’ora che giuri un governo Salvini-Di Maio”.
Io in realtà non vedo l’ora che falliscono. Una cosa è essere rispettosi del risultato elettorale, un’altra cosa è dire non vedo l’ora. Il Pd in nessun modo può tifare per una situazione che faccia un danno al paese.
Se dovesse saltare questa prospettiva di governo, il Pd dovrebbe tornare in gioco, qualora il presidente Mattarella gli chiedesse un atto di responsabilità?
Ricordo a tutti che il documento che abbiamo approvato in direzione ha due passaggi fondamentali. Il primo recita che il Pd è una forza di opposizione rispetto al quadro uscito dalle urne. Il secondo specifica che il Pd non farà mancare il suo apporto al Presidente della Repubblica nell’interesse del paese. Noi ascolteremo con grande attenzione Mattarella. Il quadro iniziale delle consultazioni è quello detto. Ove fallissero i tentativi di Di Maio e Salvini – e io non mi iscrivo ai tifosi di questo tentativo – lo scenario cambierà, vedremo come.
L’impressione è che il Pd si sia quasi immobilizzato, che abbia rinunciato a far politica, a discutere anche al suo interno, per paura di dividersi ulteriormente. E così?
No, io penso che essere minoranza non significa essere minoritari. Nella partita dei vertici istituzionali – diversa da quella del governo – avremmo dovuto evitare di rimanere silenti. Intendo dire che noi ci siamo presentati alla vigilia delle elezioni dei vertici istituzionali dicendoci pronti a dialogare su figure di garanzia. L’ingordigia del centrodestra e del M5S ha fatto sì che il dialogo non partisse. Il Pd avrebbe dovuto denunciare questa mancanza di senso istituzionale da una parte e dall’altra proporre alcune figure di garanzia, come Emma Bonino al Senato. Li avrei voluti vedere i deputati Cinque Stelle votare la Casellati e non Emma Bonino. Oggi, alla vigilia delle consultazioni, invece abbiamo preso una posizione naturale: spetta a Di Maio e Salvini indicare delle strade. Il Pd non è immobile, io mi colloco all’opposizione. Se quel tentativo giallo-verde fallisse, il Pd dovrà tornare a discutere nei gruppi e in direzione, tenendo conto delle parole del Presidente Mattarella.
Ma c’è qualcuno nel Pd che vuole veramente andare al governo con il M5S?
Io non credo. L’unico che ha detto una cosa di questo tipo è Michele Emiliano. Nessuno pensa che sia giusto e realistico andare al governo con il M5S. Le distanze da Salvini sono addirittura radicali, anche antropologiche. Il leader della Lega ha cavalcato le paure, ha instillato veleno. Il M5S ha preso posizioni demagogiche e populiste.
Eppure molti vostri elettori vi hanno abbandonato per i “grillini”
Ma infatti di Di Maio mi importa relativamente, mi interessano i milioni di elettori che hanno votato prima Pd e poi M5S.
Da dove deve ripartire il Pd?
Il Pd deve fare una discussione vera. Non dobbiamo fare un congresso sui nomi, con le tessere che aumentano alla vigilia. Noi dobbiamo rispondere da una domanda.
Quale?
Aumentano le diseguaglianze, davanti a queste fragilità della società è paradossale che non ci sia una forza riformista di sinistra che raccolga questi temi. È un tema globale, la sinistra fa fatica in tutta Europa. Dobbiamo lavorare per l’abc del Pd, per migliorare la sua capacità – come veniva detto al Lingotto – di farsi popolo. Siamo apparsi establishment. Cercare di ricostruire un rapporto con la società con proposte che superino le paure, le insicurezze.
E come si fa?
Il riformismo calato dall’alto non funziona se non c’è nel paese un soggetto – un partito aperto, direi io – che tutti i giorni faccia vivere queste proposte. Serve un riformismo dal basso. Un partito che viva nella società, ne capisca i bisogni e che trasferisca dal basso verso l’alto i disagi, per discuterne e risolverli.
Questo presuppone la separazione tra la figura del presidente del Consiglio e del segretario del Pd? Anche il senatore Richetti ci ha detto che il partito ha bisogno di cura quotidiana
La coincidenza tra le due figure veniva individuata per un modello politico maggioritario. Io penso che si possa ancora contemporaneamente essere segretario del partito e venire proposti come leader alle elezioni. Il problema è un altro.
Quale?
È un problema è di volontà politica. Si vuole un partito dei notabili, che litiga ogni giorno sul direttore dell’Asl, o si vuole un partito con la testa rivolta alla società? Il tema non è la “separazione delle carriere” ma quale partito si vuole. Il progetto del Pd del Lingotto è ancora attuale e ancora più avanzato rispetto ad altri progetti europei. Il potere deve essere un mezzo, non un fine. Quando il potere è considerato un fine allora non va più bene.
Il Pd è a rischio estinzione?
Io penso proprio di no. Per tre motivi. Il primo è che questo paese ha bisogno di una forza come il Pd, di queste caratteristiche. Secondo: l’Italia ha bisogno di una forza riformista, di un riformismo che viva nel paese partendo dal basso per trasferirsi verso l’alto e che valorizzi il ruolo dei corpi intermedi; basta con la disintermediazione.
E il terzo motivo?
Il terzo elemento è che non saremo a rischio estinzione se saremo un partito aperto, senza nobilitato e capibastone. Quel partito in cui avevano creduto i tre milioni di cittadini che votarono alle primarie fondative del Pd nell’ottobre del 2007. Il giorno seguente andarono a bussare ai circoli, ma si sentivano chiedere “ma tu chi sei?”, “Con chi stai?”. Non siamo riusciti a costruire quel partito. Se non riusciremo a sradicare questi mali, saremo veramente a rischio estinzione.