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La ricetta di Nannicini per far ripartire il Pd

di maio, Pd partito democratico

Dove vuole arrivare veramente il Pd? Per capire chi davvero può rappresentare la guida del partito, è necessario definirne prima la destinazione, comprendendo gli errori da evitare e cercando di trovare la bussola smarrita. Così scrive Tommaso Nannicini, già sottosegretario alla Presidenza del Consiglio nel governo Renzi, oggi responsabile del programma Pd, che analizza quella che definisce una “sconfitta sonora” alle politiche appena concluse. Sul portale Medium, Nannicini riflette sulle “emozioni” di questo insuccesso, concentrandosi sui limiti di cui aveva già parlato prima delle elezioni perché, sottolinea, riconoscere i propri limiti è “la premessa per superarli”.

UN PARTITO PIÚ EMPATICO

“Con il voto del 4 marzo, il Partito democratico ha rimediato una sconfitta sonora, senza appelli. Che cosa spiega il successo della Lega e dei 5 Stelle? In questi giorni se ne leggono di tutti i colori. Molti sanno esattamente che cosa è successo. Beati loro. Io di certezze ne ho poche. Condivido questa analisi di Alessandro Fiorenza sull’inadeguatezza delle risposte che circolano, ma anche lì non ne troverete di nuove. Più che sulle ‘ragioni’ dovremmo cominciare a riflettere sulle ‘emozioni’ della sconfitta”.

Nannicini inizia la sua riflessione sulla inadeguatezza delle risposte finora date per spiegare il risultato post elettorale e precisa quali a suo avviso sono i punti emozionali sui quali il partito è “caduto”.

“Mettiamo in fila qualche elemento – scrive l’economista -. Primo: le ferite ancora aperte della crisi economica (rispetto alle quali, noi del Pd, avremmo dovuto mostrare più empatia, facendo capire che per cicatrizzarle occorrono tempo e scelte coraggiose, come quelle che avevamo iniziato a fare). Secondo: il fascino di soluzioni tanto semplici quanto illusorie rispetto a nuove insicurezze (a fronte della nostra incapacità di inserire in una “costituzione emotiva” risposte più solide perché più complesse). Terzo: il malcontento verso un rinnovamento troppo lento o scarsamente selettivo della nostra classe politica. Tutti questi elementi hanno finito per soffiare sulle vele di forze estremiste e populiste, che in Italia hanno trovato terreno fertile anche per le storiche debolezze delle nostre istituzioni e per il ruolo che l’anti-politica ha giocato a più riprese nella nostra cultura collettiva”.

LE SCELTE DI GOVERNO E LE PROPOSTE, FORTI, ELETTORALI

L’ex sottosegretario elenca tutte le riforme attuate nella legislatura uscente. Dal Jobs act al reddito di inclusione, dalla riduzione delle tasse, dalle unioni civili al biotestamento. Ma ammonisce: “Gli elettori non hanno capito che cosa era il Pd”. Questo perché il programma del Partito democratico, scrive Nannicini, era altrettanto forte, comprendendo la denatalità, l’occupazione femminile, la formazione permanente, la non autosufficienza. Premessa questa per dire che “perdere le elezioni quando hai fatto cose buone per il tuo Paese non è un’attenuante, ma un’aggravante. Vuol dire aver fallito sul terreno della politica. Non c’è stato solo un problema di comunicazione. C’è stato un problema politico”.

UNA COSTITUZIONE EMOTIVA DELLA SINISTRA DEL XXI SECOLO

Le scelte di governo non sono riuscite a costruire la “costituzione emotiva”, ovvero “l’insieme di valori, principi e macro obiettivi che – da una parte – plasmano l’identità di un partito e – dall’altra – servono da interpretatori di senso per capire le politiche che quel partito sta portando avanti”. Anche il referendum del 2016 ha avuto la sua rilevanza, in quanto il 41% degli italiani ha votato “sì” riconoscendo, scrive Nannicini, “ancora nel Pd il partito del cambiamento. Anche per questo è stato un errore non rilanciare il tema del rinnovamento istituzionale nel nostro programma. Abbiamo ammainato una bandiera che ci aveva dato un’identità riconoscibile”.

Poi: “Dobbiamo dare una costituzione emotiva alla sinistra del XXI secolo, partendo da un’analisi multidimensionale delle diseguaglianze”.

RIFONDARE IL PARTITO

Per costruire quindi un insieme di valori unitari è necessario pertanto costruire un partito che “fa il partito”, selezionando e formando la classe dirigente “pensando all’interesse del Paese e non di chi fa parte del club dei politici di professione”.

L’economista rilancia quindi l’ipotesi di think tank e incubatori di impegno civico, anche la di fuori del partito, ripensando al ruolo dei circoli territoriali per valorizzare le comunità, sostenendo che è “inutile negarlo: il voto in certe aree del Paese non si spiega solo con le proposte degli altri partiti, ma anche con l’inadeguatezza della nostra classe dirigente (per usare un eufemismo)”.

L’AUSPICIO

Tommaso Nannicini conclude infine con l’auspicio di rifondare le basi di un partito, consapevole delle sfide che ciò impone. “Ci aspetta una lunga traversata nel deserto. Prima di scegliere il capitano, dobbiamo chiarirci le idee sulla destinazione finale. E dotarci di una bussola. Dopodiché, non resterà che mettersi in marcia. Senza fretta, ma senza sosta”.

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