Il senatore dem prepara un incontro il prossimo sette Aprile a Roma, un “harambee” in cui discutere il perché il Pd si trovi in questa situazione e come fare per uscirne. Chiede un percorso che porti alle primarie in autunno: “Assurdo rinunciare a questo strumento, sarebbe una regressione”. Boccia la coincidenza tra la figura del presidente del Consiglio e del segretario, e aggiunge: “Dobbiamo stare all’opposizione, c’è troppa distanza di valori e idee tra noi e il M5S”.
Senatore Richetti, il prossimo 7 aprile, lei darà vita ad un’iniziativa Harambee all’Acquario Romano, nella Capitale. Perché questa iniziativa, qual è l’obiettivo?
Ci siamo detti che non possiamo dare l’idea di parlare solo di questori, membri dell’ufficio di presidenza, capigruppo o assetti istituzionali; i nostri elettori non comprenderebbero nulla del nostro agire politico. Ho convocato un grande momento di incontro e di ascolto con due direttici: il perché siamo finiti in questa situazione e come si ne esce da questa situazione. Il rischio estinzione del Pd è un fatto molto più concreto di quanto noi non possiamo immaginare. La gravità del momento impone che tutte le prossime settimane siano concentrate a capire quale progetto di paese può salvare questa esperienza e questo campo da gioco. Altrimenti tutte le istanze che abbiamo raccolto in questi anni troveranno un altro tipo di collocazione nell’offerta politica del paese.
Chi ci sarà? Ci faccia qualche nome
Non faccio nomi. Avevo trecento richieste di incontri in vari circoli, ho fatto un unico grande evento a Roma. Ci sarà la possibilità di parlare e ci saranno alcuni interventi che ci aiuteranno a riflettere sull’attuale scenario. Ci saranno persone del mondo della cultura, dell’economia e dell’innovazione.
Prima diceva che uno degli obiettivi dell’incontro è capire il perché il Pd sia finito in questa situazione. Intanto lo chiedo a lei. Perché i democratici sono crollati al 18%?
Le anticipo tre motivi. Il primo è che abbiamo pensato che indicare nella prosecuzione di questa fase di governo la nostra proposta fosse sufficiente a portare con noi il paese in una nuova edizione di governo. Abbiamo pensato che i risultati mostrati dalle tabelle e dalle statistiche fossero sufficienti per tornare a farci dare una nuova fiducia. Così non è stato, perché le persone vivono un’inquietudine che va oltre l’Istat.
Il secondo?
Abbiamo un enorme problema di atteggiamento: è problema tra noi e il paese. Quella stagione che ha aperto Matteo Renzi, così carica di speranze e attese, si è trasformata in brevissimo tempo in situazione di ostilità e rancore verso Renzi e verso questo tempo. Tante persone non ci hanno votato senza nemmeno aprire il file delle nostre proposte. Ci hanno detto “Di voi non ne vogliamo nemmeno sentire parlare”.
Il terzo aspetto è che abbiamo ceduto ad altri l’interpretazione di alcune istanze, che magari erano solo simboliche, ma che erano esistenziali. Penso ai vitalizi. La discussione sui vitalizi è penosa: stanno diventando un tema politico, quando in realtà sono una tecnicalità da superare in un minuto. Bisogna semplicemente smettere di pagare 3mila euro al mese a chi ha fatto un giorno in parlamento. Il mio partito mi ha deriso davanti alla mia proposta; mi hanno detto che inseguivo il grillismo. Non hanno capito nulla, chiedevo al mio partito di combattere le diseguaglianze a tutti i livelli, anche quando riguardano il nostro impegno politico. Le ragioni della sconfitta sono molteplici, riassumibili in un unico grande argomento che è la perdita di credibilità.
E come si riparte quindi: dall’ormai famoso “tocca a loro”.
È molto sciocco dire che gli elettori ci hanno chiesto di stare all’opposizione. Qualche mio collega ha detto addirittura “Abbiamo vinto perché si sono eletti i presidenti delle Camere da soli. È talmente sciocco leggere in questo voto una consegna all’opposizione che dimostra quanto dobbiamo ragionare in profondità. Noi dobbiamo stare all’opposizione perché il nostro disegno è alternativo a quello di Di Maio e Salvini. Gli altri devono governare perché ha vinto un’idea di comunità in cui i diritti non sono per tutti. Smettiamo di dire che in quel 19% in un sistema proporzionale c’è scritto di andare all’opposizione. In realtà non si può aprire una diponibilità di governo perché è troppa la distanza che separa la nostra visione da quella degli altri. Per tornare alla sua domanda ripartire è più facile, ma può anche essere impossibile
Si spieghi meglio
Più facile perché nel 50% che raccoglie Grillo e Lega ci sono una parte di quelle speranze che sono transitate sul 41% di Renzi e che non hanno trovato in quella opzione le risposte alle loro paure e ai loro bisogni. La mobilità della politica in Italia è realmente aperta. In questo senso dico che è facilissimo. Il prossimo che àncora la proposta non solo sulla speranza ma anche che sulla gradualità, su ciò che è possibile fare, senza fare promesse che ingannino, può aprire una lunga stagione di cambiamento. Il Pd deve fare questo. Mentre fa questo però non può solo dire continuiamo come abbiamo governato fino ad oggi, perché su quello c’è stata una risposta chiara: “No, Grazie”. C’è da riscrivere un progetto per il paese. Dobbiamo garantire un atteggiamento di protezione per chi è in difficoltà. La difficoltà non si supera con un assegno ma con un sistema che genera opportunità. Se a tutto questo dai la forma di un progetto politico, riparte il Pd. Se non lo fai rischi che si assesti intorno ad altre proposte la maggioranza del paese.
Il rischio estinzione di cui parlava all’inizio
Il rischio estinzione è che la trasformazione dell’approccio populista in opzione più politica, finanche di governo, sia un passaggio definitivo.
Dica la verità, l’evento del 7 Aprile serve a lanciare la sua candidatura?
Facciamo una premessa
Prego
Non sono d’accordo con quasi tutte le analisi che ho sentito fare dai miei colleghi di partito, che approssimando posso sintetizzare così: adesso non è tempo di primarie, anzi forse non sono più lo strumento adatto a selezionare la leadership. Oggi – dicono – serve un congresso serio, a tesi. Considero questo ragionamento una pericolosa regressione. Con le primarie abbiamo eletto politici del calibro di Veltroni, Prodi, Bersani e Renzi. Come si fa a non ripartire da questo strumento? Bisogna ripartire dalle primarie e da una fase straordinaria. Dopo una batosta del genere è necessario tornare dal proprio popolo, quanto di più prezioso abbiamo. Io credo che il Pd abbia bisogno di alcuni mesi di costruzione del percorso verso le primarie per eleggere il nuovo segretario, il nuovo gruppo dirigente e il nuovo progetto per il partito. Un percorso simile al 2009, dopo le dimissioni di Veltroni. Per esempio in questo periodo possiamo rivedere alcune cose dello statuto, per esempio il doppio voto prima degli iscritti e poi degli elettori alle primarie».
Che tempi immagina?
Questo percorso verosimilmente può essere fatto da aprile fino a novembre, poi a febbraio nuove primarie anticipate, perché chi guiderà questa fase ha bisogno di una investitura e di una legittimazione forte. Mentre a mio modo di vedere ora c’è un grosso lavorio sugli assetti del presente.
Finita la premessa…sta lanciando la sua candidatura?
Non me ne sono proprio preoccupato. Non c’è da lanciare nessuna candidatura senza una fase di pensiero radicata, profonda. Dopo il sette farò seguire, ovunque troverò disponibilità, momenti di discussione progettuale. Ce la stiamo cavando con un’analisi del voto superficiale. Continuiamo ad avere un approccio alla povertà che non mi convince. Dobbiamo ridefinire i termini. Il disagio non è solo un fatto di portafoglio. La questione più drammatica è la povertà di relazione che genera solitudine. Non c’è solo povertà economica che produce indigenza, ma c’è l’una e l’altra. È completamente saltata la nostra capacità di essere un partito che offre una visione solidale alle cose. La qualità della convivenza si sta pericolosamente abbassando. Evidentemente farò la battaglia affinché il partito si dia questo timing, questo percorso. Poi questo lavoro può essere anche messo a servizio di altri.
Lei ha detto che si può cambiare qualcosa dello statuto. Ha ancora senso, dopo l’esperienza di Matteo Renzi, mantenere la coincidenza tra la figura di segretario e premier?
Alla luce dell’esperienza di Renzi, se non si ha un approccio ideologico alla questione, si deve tranquillamente assumere che mentre è credibile che chi è alla guida del partito sia anche il nostro candidato premier in una fase elettorale, è altrettanto certificato che mentre uno fa il Presidente del Consiglio non possa guidare il partito. Il segretario deve spendere la propria quotidianità nella cura del partito. Alcuni nostri militanti hanno sentito un senso di abbandono, un sentimento forse anche di tradimento, di quella ispirazione legata alla libertà di impegno, alle loro capacità che non erano necessariamente legate ai pacchetti di tessere. Hanno sentito quella promessa, “costruiremo un partito e un paese in cui è importante conoscere qualcosa e non qualcuno” ed è stata bruciante quella disillusione. Dobbiamo ripartire da quello. Serve una presenza costante che un presidente del Consiglio non può assicurare. Mi sembra di sottolineare una banalità, se ne sono accorti tutti.
Il Centrodestra e il M5S riusciranno a fare un Governo?
Io credo che ci sarà un governo. Bisogna solo capire se sarà un esecutivo del M5S con solo la Lega o con tutto il centrodestra. Il Pd deve essere disponibile ad un contributo per migliorare i singoli aspetti della legislazione. Non penso possa partecipare ad un’esperienza di governo.
E se Mattarrella vi chiedesse un atto di responsabilità?
Il Pd guarda con rispetto e ammirazione Mattarella, ma mi chiedo un governo di tutti per fare cosa? Io faccio fatica a immaginare un governo che non metta mano alle impellenti questioni economico-sociali più urgenti. E questo si fa con una linea politica. Io credo che responsabilità vorrebbe che la parte oggettivamente premiata dalle elezioni e che ha una serie di cose che si è impegnata a fare, penso alla riduzione delle tasse, o all’abolizione della Fornero, si metta alla prova. Per esempio sia Lega sia M5S si sono espressi contro l’obbligatorietà dei vaccini; è una cosa che mi preoccupa, ma non si può negare che c’è una maggioranza che si è assunta impegni comuni. A noi compete un’opposizione dura e costruttiva.
Un’ultima domanda. Molti spingono ad una vostra alleanza con il M5S proprio per evitare l’abbraccio tra Lega e il movimento di Di Maio.
Solo io sento quanto è aberrante la domanda e il principio che ci sta dietro? Il M5S è una forza politica che può allearsi sia con la Lega sia con il Pd. Può allearsi sia con chi vuole l’integrazione sia con chi vuole sparare ai gommoni? Il governo per il governo si può realizzare con forze politiche diametralmente agli opposti? Non posso non vedere che siamo agli antipodi, anche nella quotidianità. A Castelnuovo Rangone la Lega ha proposto un ordine del giorno per la messa al bando di chi chiede l’elemosina. Noi siamo davanti ad un partito il cui leader giura sul vangelo e sul rosario e poi se incontra San Francesco d’Assisi lo prende a calci nel sedere? È una provocazione la mia, ma ritengo incompatibile una relazione politica tra noi e la Lega. Ma riconosco a Salvini la schiettezza, che non trovo in Di Maio, di certificare l’impossibilità di governare con noi. Anche le ricette del M5S sono diversa dalle nostre. La politica non può prescindere da due cose: valori e progetti e in questo siamo troppo lontani da loro.