Riflettendo con calma sulla politica nazionale, dopo il turbinio degli avvenimenti frenetici di questi giorni, emerge chiaramente che la grande novità è rappresentata dalla Lega di Matteo Salvini. E qui bisogna subito pesare bene le parole. Non si tratta della nascita di un nuovo partito, né dell’emergere di un nuovo leader. Salvini era già alla guida del Carroccio nella scorsa legislatura, e il movimento è un’effettività politica considerevole fin dalla metà degli anni ’90, sotto la guida di Umberto Bossi prima e poi di Roberto Maroni.
L’originalità è piuttosto la metamorfosi che essa ha compiuto in questi ultimi anni, identificabile nella capacità che il nuovo segretario federale ha saputo imprimere e innestare nel suo spazio politico, uscendo come principale vincitore di una sfida molto ambiziosa e storicamente cruciale all’interno del centrodestra.
Bisogna tener presente, d’altra parte, che la Lega di oggi non ha per nulla cancellato gli ideali federali e regionalisti del nord di ieri, ma ha portato dentro un quadro complessivo quel patrimonio genetico molto consistente di tipo comunitario, facendolo diventare un progetto in grado di rappresentare e raccogliere in modo intelligente “il nucleo filosofico della nuova destra italiana”.
Certamente vi sono state le affinità elettive con Vladimir Putin e Marine Le Pen, vi è stato il trend positivo creato dal capovolgimento della politica americana con la vittoria di Donald Trump, ma soprattutto è emersa l’abilità indubbia di raccogliere in un soggetto politico nazionale un fiume di suggestioni, sensazioni, tendenze che costituiscono l’attuale visione del mondo conservatrice che sta nella testa e nel cuore della gente comune.
In fondo, se la presenza di una vera e propria “internazionale di destra” ha fatto da volano planetario, ecco che Salvini ha saputo però dargli una casa politica nel nostro Paese, partendo appunto dalla trasformazione, perfettamente idonea, della Lega Nord in Lega pura e semplice, sprovincializzando la riserva locale in una prospettiva nazionale competitiva sul territorio.
Le idee che guidano il progetto sono classiche, ricollegabili e rintracciabili pienamente nella storia del pensiero politico antiprogressista tradizionale. Per questo l’uso troppo facile, e quasi sempre senza senso, di “populismo” o di “xenofobia” nei suoi riguardi non ha molto da dire, sebbene di per sé potrebbero averne, e non aiuta granché a spiegarne la buona riuscita.
Per orientarsi può essere adatto riflettere, invece, su un’affermazione che sentii con le mie orecchie pronunciare da Gianfranco Miglio, durante un comizio in Piazza Duomo a Como nel 1994. Il professore-ideologo del federalismo, dovendo parlare dopo Silvio Berlusconi e non avendo ormai molto tempo a disposizione, disse che il suo discorso sarebbe stato molto semplice e conciso: “Per votare la Lega è sufficiente avere la consapevolezza che si vuole essere comunque e sempre contro la sinistra”.
Questo adagio calzante di tipo culturale vale oggi ancora di più. La sinistra, di matrice massimalista o riformista, crede infatti che la politica debba creare potere e uniformità, debba organizzare il mondo nella giustizia, abbia la missione di spostare l’obiettivo della vita limitata e parziale delle persone in uno spazio più ampio rispetto al consueto, al noto e all’amato, totalmente al di fuori dell’esistenza fragile di ognuno. Ma non è possibile fare tutto questo, come spiegava Franco Rodano, senza negare il vicino, il determinato, il particolare, il consueto: in fondo senza negare l’esistente stesso in cui si vive e si è intessuti.
L’idea progressista oggi ha preso le sembianze della globalizzazione universalistica, del multiculturalismo relativistico, e soprattutto di una serie di riferimenti morali che spacciati per valori finiscono per distruggerli, volendo spostare lo sguardo di prossimità in un miraggio di ulteriorità di senso che contrasta frontalmente con la concretezza di ciò che si vive e sente come rilevante nel quotidiano.
Ebbene, la Lega rappresenta oggi la più lucida e coerente opposizione ai danni causati nel vissuto delle persone da questa illusione mistificatrice e a tratti violenta di filantropia irrealista. Come meglio negare, d’altronde, l’idolatria dell’illusorio se non ripartendo dalla comunità materiale, dal legame sentimentale con il proprio spazio di società e tradizione, dall’eredità tradita, rimuovendo gli ostacoli prodotti dai nemici sconosciuti: Unione Europea, immigrazione irregolare, costi senza benefici di un assistenzialismo falso buonista? Come difendersi da una ferrea disciplina pseudo valoriale al servizio di enormi interessi, remoti e impalpabili? Che fare insomma per recuperare ciò che mai e poi mai è veramente riconosciuto come “nostro”?
Per contrastare la tendenza globale alla distruzione irrefrenabile del vivente, non basta il regionalismo; non sono più sufficienti le ampolline sul Po e il folklore sarcastico e irredentista di Bossi: è necessario ripartire dalla comunità nazionale, ossia dalla più grande realtà esistente oltre quella locale che può essere concretamente percepita come “nostra” e difesa ad oltranza, oltre ogni ragionevole dubbio.
Molto spesso si legge che la Lega alimenta le paure. Forse bisognerebbe cercare di non pensare che la paura non debba esistere, essendo umana, ma per quale motivazione profonda essa cresca adesso nel cuore delle persone. Davanti ad una malattia mortale, infatti, è assurdo non avere paura. Davanti al rischio che si corre di notte nelle città, per noi e per i nostri figli, è assurdo non avere timore e tremore. Davanti alle sicurezze che la famiglia offre in termini umani e sentimentali, è assurdo non avere terrore dell’intimidazione verso di essa che costituisce la retorica dei diritti civili di stampo individualistico e laicista. Davanti all’estinzione della nostra identità linguistica e al crollo della demografia, perché non dovremmo avere paura?
La Lega è contro tutta questa cultura. E riesce ad essere interprete con la propria anti-cultura di una riscoperta del vero valore sociale tangibile della politica proprio perché la sua storia non viene né dalla tradizione post fascista della destra missina, tutta legata ad un’idea di Stato come autorità in azione (Alfredo Rocco), né da quella neoliberale e liberista, secondo la quale è sufficiente togliere lo Stato per rimuovere i problemi (Antonio Martino).
La Lega è un partito diverso, sociale, comunitario, nazionale, che si affaccerà a breve in Parlamento come maggioritario nel centrodestra, rappresentando un nocciolo di consenso conservatore, che è solido e presente nel suo elettorato, di cui essa può essere liberamente ambasciatore perché non ha un passato da far perdonare e non si rivolge soltanto ad una classe sociale privilegiata di tipo economico, religioso o intellettuale.
La nuova destra italiana, in definitiva, oggi si chiama Lega: una realtà politica potente che presto o tardi dovrà essere rispettata e accettata come tale anche dall’intellighenzia colta e snob degli ambienti progressisti, perlomeno se vorranno non soccombere sotto la sua onda in piena.