La costante crescita della popolazione mondiale e i cambiamenti climatici renderanno sempre più critica la disponibilità delle risorse idriche del pianeta: entro il 2030 quasi la metà della popolazione mondiale vivrà in aree con scarse disponibilità idriche, soprattutto in Africa dove tra i 75 e i 250 milioni di persone vivranno in zone semiaride con la conseguente migrazione di un numero di persone comprese fra i 24 e i 700 milioni.
Lo rivela il “World Water Development Report 2018” delle Nazioni Unite, presentato a Brasilia in questi giorni, in occasione della Giornata Mondiale dell’Acqua, istituita dall’Onu nel 1992 e che si celebra ogni anno il 22 marzo.
La domanda globale di acqua è cresciuta costantemente negli ultimi anni di circa l’1% in conseguenza dell’aumento della popolazione, dello sviluppo economico e del cambiamento dei modelli di consumo, soprattutto nei Paesi in via di sviluppo e da economie emergenti. Secondo le previsioni del Rapporto, la crescita proseguirà in maniera significativa nell’arco dei prossimi 20 anni. Allo stesso tempo, “il ciclo globale dell’acqua si sta intensificando a causa dei cambiamenti climatici, on le regioni umide e le regioni aride che tendono ad estremizzare le rispettive caratteristiche”.
Attualmente oltre 5 miliardi e mezzo di persone (quasi la metà della popolazione mondiale) vivono in aree con potenziale scarsità di risorse idriche per almeno un mese all’anno. Il numero è destinato a crescere fino a raggiungere, entro il 2050, una cifra compresa tra i 4,8 e i 5,7 miliardi.
A partire dagli anni ’90, rileva il Rapporto, i livelli di inquinamento dell’acqua si sono aggravati in quasi tutti i fiumi dell’Africa, dell’America Latina e dell’Asia. Secondo le previsioni, il deterioramento della qualità dell’acqua si inasprirà ulteriormente nei prossimi decenni, con conseguenti maggiori rischi per la salute umana, l’ambiente e lo sviluppo sostenibile.
Alle tendenze relative alla disponibilità e alla qualità dell’acqua si aggiungono i rischi derivanti da inondazioni e siccità. “Il numero di persone a rischio inondazioni è previsto in crescita dagli attuali 1,2 miliardi a circa 1,6 miliardi nel 2050 (quasi il 20% della popolazione mondiale). In base alle stime, la popolazione attualmente interessata da fenomeni di degrado del suolo/desertificazione e dalla siccità è pari a 1,8 miliardi di persone”.
Nel Rapporto viene evidenziato, inoltre, lo stretto rapporto tra povertà e risorse idriche: il numero di persone che vive con meno di 1,25 dollari al giorno coincide grosso modo con il numerpo di coloro che non hanno accesso all’acqua potabile. Esso evidenzia, tra l’altro, “il fortissimo impatto che questa situazione ha sulla salute pubblica, visto che quasi l’80% delle malattie nei Paesi in via di sviluppo è strettamente correlata al consumo d’acqua, che causa circa 3 milioni di morti premature”.
“La domanda è in aumento e ciò di cui abbiamo bisogno è una migliore amministrazione delle risorse idriche, una migliore legislazione e una distribuzione dell’acqua più efficace e trasparente – aumenta drammaticamente con il miglioramento della qualità della vita, la crescita dei centri urbani e l’incremento dei livelli di consumo, tutti fattori che determinano di conseguenza un’impennata dei consumi di energia”.
Come affrontare dunque questa emergenza planetaria? Il Rapporto suggerisce di adottare “soluzioni basate sulla natura”, utilizzando o imitando processi naturali con l’obiettivo di contribuire a una migliore gestione dell’acqua. Meno infrastrutture create dall’uomo (cosiddette “grigie”) e un maggiore ricorso agli ecosistemi naturali, strumento fondamentale per superare lo status quo. “Da sempre i vari rapporti sullo sviluppo delle risorse idriche mondiali sostengono la necessità di un profondo cambiamento delle modalità di gestione dell’acqua. L’insufficiente riconoscimento del ruolo degli ecosistemi nella gestione dell’acqua rafforza ulteriormente la necessità di un tale cambiamento; un maggiore ricorso a questi costituisce un mezzo per conseguire questo risultato”.
Per quanto riguarda il nostro Paese, è ancora nella mente di tutti la scarsità di piogge del 2017 che ha provocato una drastica diminuzione delle risorse idriche superficiali e sotterranee. Un trend che viene da lontano e che ogni anno diventa sempre più emergente. A questi fenomeni naturali va aggiunto un altro problema specifico di casa nostra: l’obsolescenza degli acquedotti. Secondo Utlitalia, la Federazione che riunisce le aziende pubbliche di gestione delle acque, dell’ambiente, dell’energia elettrica e del gas, l’Italia ha acquedotti più vecchi rispetto al resto d’Europa; il 60% ha più di 30 anni e il 25% più di 50. La depurazione delle acque è assente per l’11% dei cittadini e le reti di distribuzione dell’acqua hanno una perdita media peri al 39%, con punte al Sud e nelle Isole che arrivano al 50%. Secondo Utilitalia il fabbisogno di investimenti necessario per coprire il gap con il resto d’Europa è di circa 5 miliardi di euro l’anno: uno per la depurazione dei reflui urbani e i restanti per la manutenzione straordinaria degli acquedotti e il raggiungimento degli standard ecologici di fiumi e laghi.