Nel 2018, le spese militari della Cina aumenteranno dell’8,1%, passando dai 151 miliardi di dollari del 2018 ai 175, annunciati, per il 2018, pari al 1,26% del Gdp. Questo quanto ha affermato il premier cinese, Li Keqiang, che ha anche confermato “la linea cinese di rafforzare le nostre forze armate, migliorare tutti gli aspetti dell’addestramento militare e della preparazione alla guerra e salvaguardare con fermezza e in modo risoluto la sovranità nazionale, la sicurezza e gli interessi di sviluppo”. Tale aumento fa seguito a quello dell’anno precedente, quando le spese di Pechino per la difesa erano salite del 7,1%, superando per la prima volta la soglia, ad alto valore simbolico, del trilione di Renminbi, fissando la cifra a 1,02, pari a 150 miliardi di dollari.
L’aumento delle capacità militari del Dragone è oramai un fatto conclamato, come lo è anche la sua rinnovata assertività strategica nella regione dell’Asia Pacifico. Dal 2012 infatti, non si contano le scorribande della marina militare cinese nel mar cinese meridionale, dove Pechino intende combattere l’influenza americana e quella dei suoi alleati. Le numerose operazioni di deterrenza delle navi cinesi e la costruzione di vere e proprie isole artificiali tese a rivendicare diritti su acque internazionali hanno spinto il Center for Strategic and International Studies a parlare di una vera e propria “slow-moving crisis“. L’aggressività cinese sta creando infatti un vero effetto domino, soprattutto dopo la marcia indietro di Trump rispetto all’obamiano pivot to Asia, che ha fatto dubitare gli alleati del supporto politico e militare Usa. Il Vietnam, per esempio, sta cercando di sviluppare capacità militari autonome, e ha recentemente acquistato dalla Russia due sottomarini Project 636.1, che si aggiungono ai quattro già in possesso di Hainoi, e tre fregate Gepard, sempre provenienti da Mosca.
La riforma del People Liberation Army cinese, fortemente voluta dal potentissimo Xi Jinping ed elaborata in occasione del 19esimo congresso del Partito ha finora generato un significativo ammodernamento degli apparati militari nel segno dell’informatizzazione e della riorganizzazione delle cariche, con i fedelissimi di Xi oramai onnipresenti nelle più alte sfere dell’esercito. La ristrutturazione delle forze armate è funzionale a sostenere una presenza crescente della Cina a livello globale. Lo scorso anno, gran parte dell’attenzione degli osservatori si è concentrata sulla costruzione della prima base militare permanente oltreconfine, in Gibuti. Allo stesso tempo, è aumentato notevolmente il numero di esercitazioni militari, condotte per la prima volta nel mar Baltico, nell’esercizio Joint Sea 2017 tenuto in collaborazione con al Russia, ma anche nel Mediterraneo, nel Pacifico e nell’Oceano Indiano.
Se la Cina rappresenta la secondo potenza mondiale per spese in forze armate, gli Usa di Trump rimangono saldamente in prima posizione. Il tycoon infatti, che aveva fatto della promessa di un America più sicura uno dei pilastri della sua corsa alla Casa Bianca, da commander in chief si è contraddistinto per un pressing costante sul congresso per aumentare le spese miliari.
Nel novembre dello scorso anno il Congresso Usa è andato persino oltre le aspettative di Trump, approvando un budget per le spese militari di 700 miliardi per il 2018 arrivando a quota 603 miliardi di dollari. A metà Febbraio, l’amministrazione Trump ha proposto un budget per la difesa per l’anno 2019 pari a 719 miliardi, potenzialmente uno dei più alti della storia americana.
Questo aumento, ha dichiarato il segretario Mattis, “è ciò che serve per riportarci in una posizione di supremazia”. Dietro l’ulteriore aumento delle spese militari americane ci sarebbe il grande ritorno della competizione tra grandi potenze testimoniato dalla nuova strategia di sicurezza nazionale Usa. Sono infatti di nuovo, dopo anni, le potenze “revisioniste” intente a sovvertire l’ordine internazionale le osservate speciali degli Usa. Contro di loro si è scagliato Trump nel presentare la strategia, concentrandosi soprattutto sulle politiche di Pechino nel mar cinese meridionale.
Le rinnovate ambizioni regionali e globali della Cina, testimoniate dal focus di Xi sulla riorganizzazione dell’esercito e dall’aumento delle spese militari trovano a Washington un’amministrazione che vuole fornire al Pentagono il budget più alto della storia recente Usa, rischiando di innescare una pericolosa corsa alle armi nell’asse Cina-Stati Uniti.
Quel che è certo, è che dopo anni di focus quasi esclusivo sulle minacce asimmetriche, si è tornati a parlare di competizione tra grandi potenze, le quali, tra l’altro, sono armate come non mai.