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Ancora una grana per Putin. Cade un altro elicottero militare russo

Un elicottero Mi-8 della Border Patrol russa, la guardia di frontiera, è precipitato in Cecenia: almeno cinque uomini del personale a bordo sono morti (ma ci potrebbero essere anche più perdite secondo il sito locale Meduza news, dato che a bordo ci sarebbero state nove persone). Le pessime condizioni meteo, ha spiegato il presidente ceceno Ramzan Kaydrov, controverso alleato putiniano, impediscono i soccorsi e sono probabilmente la causa dell’incidente.

Si tratta del secondo velivolo militare russo a schiantarsi al suolo nel giro di due giorni. Martedì, un cargo An-26 – velivolo fuori produzione dal 1986 – probabilmente decollato da Kuweires (l’aeroporto di Aleppo) è precipitato durante la fase di atterraggio a pochi chilometri dalla pista della base aerea di Hmeimim, la grande installazione russa da cui Mosca gestisce l’intervento armato in Siria. Sono morte 39 persone (sembra che fra loro ci fosse pure personale civile), e, come fa notare il Times, si tratta della “più grande perdita di militari in un singolo incidente in Siria da quando la Russia è intervenuta nella guerra civile nel 2015” (in effetti Mosca dichiara ufficialmente che dal 2015 soltanto 46 russi sono morti nelle operazioni in Siria).

O almeno quella più grossa che si è trovata ad ammettere il ministero della Difesa, che di solito evita di citare episodi scoraggianti che riguardano le attività militari russe in giro per il mondo, figurarsi le perdite di vite umane; ora, nel giro di poche ore, è stato costretto a confermare due vicende simili sia nell’accaduto – entrambi, a quanto pare, guasti tecnici – sia nel contesto – in Cecenia come in Siria Mosca sostiene di essere presente per contenere l’insurrezione islamista che mette a rischio la sicurezza nazionale.

Il presidente Vladimir Putin detesta ammettere certe situazioni, perché innanzitutto indebolisco la narrativa vittoriosa con cui descrive il suo impegno militare – coperto dall’ottica indiscutibile dell’antiterrorismo internazionale, anche se spesso collegato agli interessi politici di Mosca. D’altronde, al popolo vanno dati in pasto i trionfi come il concerto del coro russo nel teatro di Palmira strappato allo Stato islamico – ed è al limite accettabile che l’aereo che avrebbe dovuto trasportare il famoso coro dell’Armata Rossa per un altro concerto siriano, sia precipitato in un’altra occasione, perché tra le lacrime si può leggere il sacrificio per il bene superiore.

Ma pensare che l’azione armata russa sia accompagnata da incidenti continui, può sembrare un segno di debolezza. Ancora di più in un momento in cui a Putin serve tutto il sostegno possibile e tutta la narrazione sostenibile per portare la gente alle urne: è fuori di dubbio, infatti, la sua vittoria elettorale alle imminenti elezioni, ma la possibilità di ricevere un’incoronazione di legittimità al di sopra delle polemiche sul suo despotismo, sta nell’affluenza; ossia, serve che la gente lo vada a votare in massa, non basta vincere.

La realtà però è diversa dalla retorica: Putin ha da poco celebrato le virtù militari russe in pubblico, ha mostrato i nuovi muscoli strategici, ma gli scettici da tempo obiettano che la macchina da guerra russa è corposa ma inefficiente. Abbina pezzi tecnologici come gli ultimi Sukhoi, o i sistemi di difesa aerea S-400, a macinini sovietici ancora in uso, spesso in via zoppicante, restati indietro nei programmi di revisione, aggiornamento e pure manutenzione per via di questioni di cassa.

Perché fondamentalmente la Russia, al di là della narrativa, ha la possibilità di investire un decimo di quello che hanno stanziato gli Stati Uniti per la spesa militare: Putin ha annunciato un piano per aumentare la spesa militare nel prossimo futuro, ma i traguardi per raggiungere una preparazione completa sono lontani. Sviluppare nuovi sistemi rende problematico trovare i soldi per mantenere efficienti quelli esistenti: e il susseguirsi continuo di incidenti è la cartina di tornasole della situazione. D’altronde vale l’opposto, con l’aggravio che le sanzioni internazionali potrebbero rallentare i nuovi progetti.

Alle spese militari per la manutenzione ordinaria, inoltre, Mosca – le cui casse hanno pesantemente risentito del crollo dei prezzi del petrolio e pure di quelle sanzioni internazionali post-crimeane – deve aggiungere gli impegni sul campo, le missioni: su tutti la Siria, che non trova ancora una via di soluzione, e il sostegno meno appariscente ai separatisti ucraini nel Donbass.

Due crisi sfiancanti, in cui Putin ha piantato la Russia e da cui a questo punto non può che uscire vincitore, se non altro per salvare la faccia davanti ai suoi cittadini (che quando sentono parlare di spese militari non sono proprio concordi nel consenso al presidente).

 

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