La parabola politica del discusso e discutibile ex Presidente della Repubblica francese Nicolas Sarkozy è finita a Nanterre, nella periferia parigina. L’uomo politico, sostanzialmente rimosso dalla vita pubblica, è qui da ore in stato di fermo perché indagato nell’ambito dell’inchiesta sui finanziamenti illeciti, ritenuti da tempo “possibili e probabili dagli inquirenti” ottenuti dalla Libia per la sua campagna elettorale presidenziale del 2007 che vinse puntando sul rinnovamento del movimento gollista. Ottenne un largo suffragio dilapidato in poco tempo grazie alla sua spregiudicata politica internazionale e sociale che poco aveva a che fare con le idee del suo ispiratore e con la tradizione inaugurata dal Generale.
Alle presidenziali del 2012 venne sopravanzato al primo turno dal non irresistibile candidato socialista François Hollande ottenendo il 27% dei voti contro il 28,6%. Al secondo turno (6 maggio), Hollande gli inflisse una sonora sconfitta diventando il ventiquattresimo Presidente della Repubblica.
L’ultimo atto significativo della presidenza Sarkozy, in circostanze rocambolesche (l’ordine di intervento venne dato mentre all’Eliseo erano riuniti i capi di stato e di governo dell’Unione europea) fu l’indifendibile atto alla Libia, proditorio e controproducente, nel quale trascinò soprattutto Cameron, primo ministro britannico, e quindi tutta l’Unione che stupidamente si accodò alle mire africane del leader francese aprendo la strada ad un caos nel Mediterraneo di vaste proporzioni di cui oggi l’Unione europea ed il Vicino Oriente, pagano ancora le conseguenze.
Contestato nel suo stesso partito, Sarkozy è comunque riuscito, entrando e uscendo da inchieste giudiziarie di varia natura, a riconquistarlo brevemente tanto da imporsi ai suoi amici-nemici come Fillon, Copè, Juppé fino a cambiare nome all’Ump in “Républicains”. Ma neppure quest’operazione gli ha portato fortuna. I cittadini, gli elettori, i militanti gli voltarono le spalle. Subita la disfatta alle primarie in vista delle elezioni dello scorso anno, ha comunque brigato per avere un ruolo che gli è stato negato. Ha assistito sbigottito alla disfatta di quella che poteva essere la creatura politica proiettata nella ricostruzione di una destra repubblicana credibile, ma, a quanto si dice, senza rassegnarsi.
Il quotidiano francese Le Monde, che nel suo sito ha anticipato la notizia, ha sottolineato come lo stato di fermo potrebbe durare 48 ore e che l’ex presidente potrebbe doversi presentare ai magistrati al termine dei due giorni di custodia, per essere incriminato. È la prima volta che Sarkozy viene interrogato da quando sono cominciate le indagini sui finanziamenti, nel 2013. E le sue prospettive non sono assolutamente rassicuranti.
L’opinione pubblica francese, anche quella che lo ha sostenuto, non gli perdona la disinvoltura con la quale ha lanciato la Francia in una impresa che non aveva nessuna giustificazione politica contro la Libia. Considerando poi i benefici personali che avrebbe tratto dai sui rapporti con Gherardi c’è davvero qualcosa di inspiegabile in quell’operazione che ancora suscita interrogativi e perplessità, quando non aperte condanne.
Indagini incominciate nel 2012, dopo il suo abbandono dell’Eliseo, sulla base di un’inchiesta del sito francese Mediapart, che aveva pubblicato un documento in arrivo dalla Libia su un finanziamento deciso dall’ex presidente Gheddafi per la campagna elettorale di Sarkozy, hanno avuto un esito altalenante fino al fermo che probabilmente prelude a più dure misure restrittive.
Il ricordo, in queste ore di confusione, va ad uno dei suoi primi libri, forse il più evocativo e “visionario”, una vera sorta di manifesto politico ed esistenziale, Témoignage, nel quale si legge: “Costruire è agire con i tempi giusti della riflessione. È ‘fare’ seguendomi un pensiero, un progetto. Troppi politici non hanno più sogni, perché non credono più nella loro capacità di cambiare, trasformare il futuro”. Era il 2006. L’anno dopo avrebbe colto il suo personale trionfo. La Francia prometteva di diventare, sotto la sua guida un’altra cosa. Quelle parole vennero dette e ripetute infinite volte. Uno dei prima atti della sua presidenza Sarkozy lo dedicò all’Unione per il Mediterraneo che voleva rilanciare per unire i Paesi arabo-musulmani al sud del Vecchio Continente con un programma di ambiziose riforme ed il rilancio di un partenariato che avrebbe dovuto fermare le minacce terroristiche e l’irruzione dell’islamismo nelle società occidentali. Un piano di pacificazione. S’infranse quattro anni dopo, per esplodere a fine mandato, sulle coste libiche. Un attacco alla pace, alla comunità mediterranea, alla civile convivenza in un bacino fragile.
A Nanterre Sarkozy dovrà pensare alla sua difesa: ha avuto molto tempo per ripensare al disastro politico che ha innescato, ma non crediamo che lo abbia fatto.
“Costruire e amare? Potrebbe essere solo una promessa. Per me è la vita. La mia”. Così parlò Sarkozy, l’erede del Generale. Ognuno oggi è in grado di giudicare quelle parole vergate alla vigilia del suo effimero trionfo.