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Spending review, reddito di cittadinanza e Legge Fornero. Urge un patto di ferro tra i partiti in vista del Def

Il Documento di economia e finanza (Def) – e ancor più la risoluzione parlamentare che, approvandolo, lo integrerà – saranno la espressione del grado di accordo tra i partiti per la formazione del nuovo governo. Nell’ipotesi di intese limitate al tempo necessario per cambiare la legge elettorale e tornare alle urne, la proiezione del Def sarà di fatto breve e limitata ai modi con cui evitare l’entrata in vigore delle clausole di salvaguardia. Operazione peraltro non indolore perché solo in parte potrà essere scaricata sul deficit né potranno soccorrere altre modalità di prelievo fiscale.

Lega e M5S hanno un comun denominatore teorico nella spending review anche se, declinato il titolo, possono essere molto diverse le ricette con cui darvi attuazione. Il taglio immediato delle spese si presenta arduo in un Paese che già viaggia da anni con un pur modesto avanzo primario del quale ci è chiesto, anzi, un ulteriore consolidamento per mettere il Paese al riparo da possibili traumi. I tagli di breve periodo alla spesa potrebbero essere particolarmente dannosi se condizionati dalla prospettiva del voto e dal timore quindi delle reazioni sociali. Potrebbero infatti penalizzare ulteriormente gli investimenti infrastrutturali o la qualità di molte prestazioni pubbliche nella convinzione che questi effetti si percepiranno non subito ma nel medio periodo. Diversa sarebbe, in via teorica, l’ipotesi di una effettiva proiezione almeno triennale del Def in presenza di un accordo per la formazione del governo. Crescerebbero i bisogni di copertura ma, corrispondentemente, la rivisitazione della spesa potrebbe essere più razionalmente distribuita nel tempo e meno soggetta alle pressioni elettoralistiche. Si tratterebbe di vedere quanto oneroso negli anni si definirebbe lo scambio tra una qualche forma di reddito di cittadinanza e una qualche forma di revisione della legge Fornero. Sarebbe in ogni caso necessario mettere in conto anche gli oneri per la crescita delle aree più deboli timidamente avviata dal precedente governo nella sua fase terminale e fortemente sollecitata dal voto. Così come non dovrebbero soffrirne gli investimenti infrastrutturali troppo a lungo mortificati.

Si prospetta insomma una difficile quadratura del cerchio, possibile solo se si avviasse davvero una fase di riduzione strutturale delle spese correnti aggredendo nodi come i sovracosti del trasporto pubblico locale, l’eccesso di offerta ospedaliera, la riorganizzazione digitale di molte funzioni pubbliche centrali, la razionalizzazione e integrazione delle municipalità che segnalano un forte scostamento dai fabbisogni standard. Nessun percorso appare insomma agevole se, al di là delle comprensibili bandierine elettorali, non soccorreranno una visione condivisa e un patto di ferro per il medio o lungo termine.


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