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Zimbabwe, l’ultima zampata del “vecchio elefante” Mugabe

Senza pace l’ex-ricco e prospero Zimbabwe, la vecchia Rhodesia segregazionista del bianco Ian Smith, prima ancora invidiata colonia britannica (oro, diamanti, un’agricoltura forte). Il 94enne mai domo despota Robert Mugabe, destituito con ignominia – tra l’entusiamo di una popolazione sofferente – dopo trentasette lunghi anni di “regno”, esce dal suo rifugio dorato nei dintorni della capitale Harare (costato otto milioni e mezzo di euro sottratti al bilancio statale, venticinque camere da letto, lusso esagerato) e rompe minacciosamente il silenzio. A sorpresa. Non pago di aver strappato una vergognosa immunità per i suoi crimini, compreso il feroce genocidio di una minoranza tribale, ventimila persone sterminate.

Torna all’attacco, il “vecchio elefante”, e promette fuoco e fiamme contro il successore e “carnefice” Emmerson Mnangagwa, 75 anni, a lungo suo fedele vice e braccio armato, compiaciuto corresponsabile delle nefandezze del capo. “È stato un golpe militare a cacciarmi. Ma solo Dio avrebbe potuto farlo! – farnetica il redivivo dittatore – Il paese deve cancellare questa vergogna. L’ordine costituzionale (!) va ripristinato. So che la gente mi ama ancora. E si rivolterà contro il traditore! Io non mi fermerò. Lotterò fino ai cento anni!”. Parole che lascerebbero il tempo che trovano, se non fosse che lo stremato Zimbabwe – tredici milioni di abitanti, novanta per cento di disoccupati, ottanta su cento sotto la soglia di povertà, inflazione a livelli inauditi – è atteso, in estate, da un’ardua prova elettorale. Sembra traballare l’ininterrotto, granitico, potere del partito democratico “ZANU-PF”, al governo fin dalla vittoria sul regime razzista e sugli ultimi rigurgiti colonialisti.

Mngangagwa “il coccodrillo”, dopo tanti bei discorsi, non si è mostrato capace di prendere in mano le redini della nazione. Il popolo è già profondamente deluso. ll neopresidente – che si è issato sullo scranno più alto con l’ aiuto dei carri armati e il benestare di Sudafrica e Cina, sempre più potente in Zimbabwe – ha perso gravemente credibilità, rinunciando, per la sua evidente coscienza sporca, a processare Mugabe. E non ha attuato i provvedimenti urgenti annunciati per dare una prima, salutare, scossa all’economia. In più ha combinato un “pasticciaccio” con l’annosa, irrisolta, questione della restituzione di parte delle terre confiscate ai “superstiti” coloni bianchi non riparati all’estero: dopo aver annunciato la svolta, ha cambiato repentinamente parere e ha negato anche lo strombazzato indennizzo, finendo per perpetuare i danni irreversibili della disastrosa riforma agraria “socialista” dettata nel Duemila dal solito Mugabe.

Un contesto confuso e opaco, che mette le ali alle opposizioni, viste da molti come l’ultima spiaggia. Ma l'”MDC”, il “Movimento per il cambiamento democratico”, il più accreditato tra le forze che contestano da sempre il famelico “ZANU-PF”, è stato privato di recente del suo leader storico, il carismatico ex-minatore Morgan Tsvangirai, morto a 65 anni. E prende quota, espressione dell’area più popolosa dello Zimbabwe – il Mashonaland, la regione centrale attorno ad Arare – un nuovo partito nazionalista africano, la cui nascita sarebbe stata ispirata proprio dal diabolico Mugabe, voglioso di riscossa, uno che con la sua formazione incredibilmente mista – cattolico, insegnante impegnato nel sociale, quindi marxista-leninista convinto, ma anche ghandiano e poi suprematista nero – è davvero in grado di estrarre qualsiasi sorpresa dal suo inesauribile cilindro.

Non è una sorpresa assoluta, invece – vista la spregiudicatezza e l’avidità del personaggio – la prossima incriminazione della consorte “numero due” di Mugabe, che lui intendeva designare alla successione, la 52enne ex-dattilografa Grace, ambiziosa e amante del lusso, e per questo ribattezzata “Gucci Grace”, ma anche “Dis-Grace”. La donna – quarant’anni e rotti meno del “maritino” – sarebbe stata la “mente” di una imponente organizzazione interafricana di contrabbandieri di avorio, diamanti e oro destinati al “mercato nero” di paesi ricchi, arabi e occidentali. Grace “la perfida” bucava le dogane facendo passare quella merce pregiata per “regali di Stato”, destinati ai grandi della Terra. Non si può dire che non sfruttasse debitamente il suo augusto ruolo di “First Lady”.


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