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Come al Monopoli: si ripassa dal via

Con le parole di questa sera di Luigi Di Maio si chiude la prima (lunga, troppo lunga) fase di tentativi per formare il governo. Il Presidente del Senato Casellati domani ne riferisce al Capo dello Stato, ma già sappiamo come stanno le cose: un accordo tra centrodestra e M5S non è possibile poiché Berlusconi e Salvini non accettano i ruoli loro proposti dal giovane leader a cinque stelle, cioè quello di alleato a tutti gli effetti per il capo della Lega e di sostenitore “a lato” per il fondatore di Forza Italia.

Dopo il voto di domenica in Molise dunque si va alla fase due, che si apre però con qualche elemento utile, oltre naturalmente al dato più preoccupante, cioè il fatto che un mese e mezzo è passato invano. Il primo elemento utile riguarda il centrodestra, che si sta comportando come una vera e propria coalizione: non solo non era scontato, ma anzi molti (Di Maio per primo) hanno scommesso su divisioni che non ci sono state e non paiono ipotizzabili nell’immediato futuro.

Inoltre c’è un certo “scongelamento” in casa Pd, dove parecchi dirigenti di spicco iniziano a ragionare su come dare una mano a sbrogliare la situazione e lo stesso Renzi, pur mantenendo la sua posizione originale che indica l’opposizione come destino del partito, ora si esprime con toni di maggiore pacatezza.

Infine c’è un po’ di chiarezza anche nel M5S, perché adesso è indubitabile il loro “Rubicone”, che si chiama Silvio Berlusconi.

Cosa resta dunque in campo dopo questo periodo (lungo, troppo lungo) di tira e molla? Resta sostanzialmente un bivio, che vede da una parte un governo di centrodestra che va a caccia dei cinquanta voti che gli mancano e dall’altra un accordo Pd-M5S. Da lunedì vedremo se queste due “piste” sono percorribili e quale è la più agevole.

Nessuno vuole davvero le elezioni, questo va detto, anche perché rivotare con l’attuale legge non risolverebbe un bel niente. Ma la legislatura ha un suo vizio d’origine, cui è difficile rimediare e che sta mostrando tutti i suoi effetti. Per Mattarella dunque il rebus è intatto o quasi.

Ecco perché il Quirinale non ha mai forzato in queste settimane. Potrebbe avere bisogno di farlo, chiamando tutti ad un governo (breve) di responsabilità nazionale. Ma per poterlo fare il Capo dello Stato ci deve arrivare con la fiducia di tutti, quindi non deve fare a cazzotti con nessuno. Esattamente quello che sta accadendo.

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