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Il Pd deve dialogare con il Movimento 5 Stelle. Parola di Piero Bassetti

di maio, Pd partito democratico

“L’apertura del Pd ai 5 Stelle è importante, perché i dem non possono stare su una torre d’avorio a seguire gli eventi. L’Aventino è sbagliato. Non credo però a un governo Pd-5 Stelle, ma più a un esecutivo istituzionale dove i due partiti possano collaborare su un contratto di programma”. Ex presidente della Regione Lombardia ed ex deputato, a lungo appartenente alla Democrazia cristiana e anche imprenditore, oggi presidente dell’associazione Globus et Locus, Piero Bassetti accetta di analizzare gli ultimi eventi politici guardando però il tutto da una prospettiva di più ampio respiro.

Bassetti, Sergio Mattarella ha dato l’incarico a Roberto Fico per vedere se un’alleanza tra 5 Stelle e Pd avrà più chance rispetto a quella col centrodestra…

Come ha detto il sindaco di Milano Beppe Sala, il fatto che queste due forze si parlino è senz’altro positivo, a patto che lo facciano non con una logica spartitoria, da accordicchio politico per andare a Palazzo Chigi. Non devono seguire la logica che ha guidato il tentativo di accordo con Salvini. Però, ripeto, non credo a un governo Renzi-Di Maio. Credo semmai che il dialogo possa portare a un governo istituzionale all’interno del quale si possano fare alcune cose.

Insomma, sinistra e grillini devono parlarsi…

Certo, il Pd non può ignorare un movimento che ha il 32% dei consensi nel Paese. Ma questo dialogo deve avvenire soprattutto nella società civile, dal basso. In questo modo il Pd può riconquistare proprio quei consensi che sono andati al M5S. Il Pd può gettare un’opa sul movimento e riprendersi i voti.

Si può partire dal contratto presentato da Di Maio?

Sì, aggiungendo anche altre voci. La questione del reddito di cittadinanza è stata banalizzata, ma il calo del lavoro dovuto alla robotica è un tema mondiale. Non si può pensare di lavorare tutti e allo stesso modo, come prima. Su questo e molto altro Martina ha le orecchie per stare a sentire. Se invece si guarda solo alla divisione dei ruoli, delle poltrone e del potere non si va lontano. Questo gli elettori l’hanno capito. Ma mi lasci dire una cosa.

Prego.

Le elezioni del 4 marzo hanno rappresentato una svolta importante per quanto riguarda il nostro modo di pensare la politica. Gli elettori non hanno scelto i loro rappresentanti con una funzione di governo, ma hanno indicato persone che fossero i rappresentanti dell’urlo, della protesta e della loro insoddisfazione. E mi riferisco soprattutto a Di Maio e Salvini. Passare dal grido del Paese a strutturare poi una risposta politica e di governo è difficile, complicato. Da qui nasce la difficoltà, anche di Mattarella, di mettere insieme una maggioranza tra le diverse forze per dare vita a un esecutivo.

Colpa anche della legge elettorale?

Il proporzionale è un sistema più predisposto a raccogliere il grido dell’elettorato. Con il proporzionale emergono magari 4 persone che vogliono mettere le mani sul volante. Il maggioritario garantisce certamente più governabilità.

Governo istituzionale per fare cosa?

Innanzitutto per fare una nuova legge elettorale. Se è difficile stabilire chi guida tra diversi aspiranti autisti, è più facile prenderne uno in prestito, a patto che i passeggeri si mettano d’accordo su dove andare. Ma, come dicevo prima, si potranno fare anche altre cose e soprattutto potrà iniziare un dialogo tra Pd e 5 Stelle. Poi si può tornare a votare, magari tra un anno. Nel frattempo sarà interessante vedere, per esempio, se alla Lega riuscirà l’Opa su Forza Italia.

Perché i partiti non riescono a mettersi d’accordo?

Il problema è più profondo della semplice composizione dei pezzi di un mosaico, dell’incapacità nel riuscire a mettersi insieme per esprimere una maggioranza di governo. Non si governa urlando, lo si fa manovrando.

Da cosa nasce questa crisi?

In politica c’è il metodo e il merito. Sul metodo Salvini va più d’accordo con Di Maio, Berlusconi con Renzi. Ma il governo pone anche problemi di merito. I partiti hanno perso la forza di proporre istanze di governo, non sono più il mezzo con cui la società portava le proprie idee e bisogni all’interno delle istituzioni. Il partito era il mezzo per trasformare la sensibilità del popolo in una forza di governo. Ora non è più così.

I 5 Stelle dicono di farlo con la rete.

Il successo del M5S è l’elemento più interessante di queste elezioni. Loro sono espressione delle problematiche della società civile, ma devono riuscire a portarle nella società politica. 5 Stelle a parte, i partiti sono rimasti indietro sul fronte della rete e del web.

Ovvero?

La rete c’è e non se ne può più fare a meno. Gran parte dell’opinione pubblica si forma lì, ma la politica sembra non esserne accorta. È come se ai miei tempi i partiti non avessero tenuto conto di quello che accadeva nelle piazze e nelle fabbriche. Impensabile. Oggi è fondamentale guardare cosa accade sul web.

I 5 Stelle sono un movimento politico più di destra o più di sinistra?

Destra e sinistra non esistono più, Gaber l’aveva capito già 30 anni fa.

Questa crisi dei partiti è dovuta anche alla mancanza di grandi leader politici?

Renzi, Di Maio, Salvini la tempra da leader ce l’hanno, ciò che manca è la mappa all’interno della quale bisogna andare e per disegnare quella mappa serve avere un profondo pensiero politico. Renzi, per esempio, ha grinta, capacità di comando e leadership, ha più difficoltà sulla capacità di stabilire il percorso. Sono tutte buone automobili cui però manca il navigatore.

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