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Il declino dei Centri per l’impiego

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Sembrava che qualcosa potesse cambiare con il Jobs act e il passaggio in capo alle regioni delle competenze gestionali in materia di politiche attive del lavoro esercitate attraverso i centri per l’impiego, consolidando l’attività a supporto della riforma delle politiche attive del lavoro del decreto legislativo 14 settembre 2015, n. 150, nel rispetto dei livelli essenziali delle prestazioni definiti ai sensi dell’articolo 2 del decreto legislativo 14 settembre 2015, n. 150 e così sistemato il personale delle città metropolitane e delle province, con rapporto di lavoro a tempo indeterminato, in servizio presso i centri per l’impiego, già collocato in soprannumero dalla legge 23 dicembre 2014, n. 190, trasferito alle dipendenze della relativa regione o dell’agenzia o dell’ente regionale competenti, ai sensi della disciplina regionale, per la gestione dei servizi per l’impiego, in deroga al regime delle assunzioni previsto dalla normativa vigente.

Avevamo sperato che con una specifica convenzione sarebbe stata regolata la fase di transizione, dando un futuro alla governance pubblica del mercato del lavoro. Ma sono stati definiti gli importi che, nella ripartizione dei fondi destinati alle varie Regioni italiane, servivano per sanare la questione dei lavoratori a tempo indeterminato e quella dei dipendenti a tempo determinato, ma i centri per l’impiego continuano ad essere una scatola vuota e inefficiente. A livello nazionale i fondi destinati ai contratti a tempo indeterminato dei dipendenti ammontano a 235 milioni di euro, mentre 16 milioni sono stanziati per i lavoratori a tempo determinato. I vari soggetti interessati-Assessori regionali, ministeri, enti e agenzie, hanno collaborato al varo del decreto sui livelli essenziali per le politiche attive, al provvedimento sull’accreditamento delle sedi che erogano servizi ed a quello sull’autorizzazione e sull’iscrizione all’albo delle agenzie. È stato dato il via libera al piano di rafforzamento dei Centri per l’impiego che, utilizzando risorse dell’Unione Europea, prevede appunto l’assunzione di circa milleseicento unità di personale di cui seicento dedicate alla gestione delle misure per l’inclusione attiva e al reddito di inclusione (Rei).

È stato anche modificato l’accordo del 2016 per la gestione della fase transitoria che prevedeva le dovute coperture finanziarie per due terzi dallo Stato e per un terzo dalle Regioni, rispetto al quale sono state individuate ulteriori somme residuali per l’anno 2017 pari a 45 milioni di euro. Tutto ciò detto, il famigerato invio del curriculum funziona meglio dei centri per l’impiego: nel quarto trimestre dell’anno 2017 il 18,9% dei giovani tra i 25 e i 34 anni ha trovato un’occupazione grazie alla richiesta effettuata direttamente presso il datore di lavoro, ma solo il 2,5% ha trovato lavoro grazie ai centri pubblici per l’impiego. La quota sale al 7,1% per i giovani tra i 15 e i 24 anni, ma lì probabilmente si tratta di un effetto “Garanzia Giovani”, il programma gestito dal ministero del Lavoro e dalle Regioni e finanziato prevalentemente con fondi Ue. Funzionano un po’ meglio di prima le agenzie interinale e i centri per l’impiego privati, che sono riusciti a trovare lavoro all’8% dei giovani under 34. Un dato in miglioramento, mentre il 41,9% ha trovato lavoro grazie all’aiuto di parenti e amici. Difficile valutare quest’ultimo dato: in passato analoghe indagini Istat avevano rilevato quote molto più alte per questo canale di ricerca del lavoro, intorno al 70%.

Le ragioni della differenza possono essere diverse: i giovani preferiscono attivare canali ufficiali, inviare il curriculum, contattare direttamente il datore di lavoro, magari in un Paese diverso dall’Italia. Oppure trovare lavoro per i giovani è talmente difficile che anche i canali che in Italia hanno storicamente più successo (la famiglia, gli amici) non funzionano più tanto bene come in passato. Magari è una combinazione delle due ragioni. La dura verità è che nella fascia 25-34 anni, il tasso di occupazione in Italia è eccessivamente basso nel confronto con gli altri Paesi. E i nostri tassi di occupazione sono più bassi di quelli degli altri Paesi anche rispetto alle fasce di età più fortunate, quelle più avanti negli anni. I tassi di occupazione dei giovani in Italia poi diventano ancora più bassi nel Mezzogiorno, per le donne, e per le donne con figli. Intanto in generale quello maschile nella fascia 25-34 è del 68,9% e quello femminile del 51,5%. Se però si tratta di donne con figli e di uomini con figli, i due tassi diventano dell’83,7% e del 42,8%. Nel Mezzogiorno il tasso di occupazione delle donne con figli nella stessa fascia di età diventa del 12,3%.

Difficile pensare che si tratti di una scelta: la crisi ha avuto un maggiore impatto sui giovani, ed è proprio tra i giovani che si trova la maggior parte delle coppie monoreddito.

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