Il dibattito parlamentare sulla Siria seguito alle dichiarazioni del presidente Paolo Gentiloni ha messo a nudo alcune posizioni politiche, in parte già note, che alimentano i dubbi su che cosa concretamente accadrebbe nelle scelte di politica estera nel caso che il Movimento 5 Stelle, la Lega o entrambi andassero al governo. La posizione espressa sui bombardamenti di Stati Uniti, Gran Bretagna e Francia sulla Siria in realtà nasconde valutazioni più ampie, applicabili a molte altre situazioni presenti e future.
Quello della capogruppo alla Camera del M5S, Giulia Grillo, affiancata da Luigi Di Maio e da Manlio Di Stefano, è stato un discorso ideologicamente pacifista che è realistico solo nella fantasia dei bambini. “Pur volendo restare nella Nato”, Giulia Grillo ha spiegato che “l’Italia deve promuovere iniziative di pace, non di guerra” e per questo ha invocato l’articolo 11 della Costituzione leggendo solo le prime righe come hanno fatto decine di volte tutti coloro che, nei decenni scorsi, sono stati contrari a qualunque intervento militare, giusto o sbagliato che fosse. Se dunque “l’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali”, bisognerebbe sempre aggiungere che “consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie a un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni” e che “promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo”. È bastato l’accenno all’articolo 11 perché Di Stefano, responsabile esteri del Movimento e (almeno in passato) fervente sostenitore di Vladimir Putin, cominciasse ad annuire vistosamente.
Grillo ha indirettamente invocato l’ultima parte dell’articolo 11 quando ha insistito sulla necessità che l’Onu torni a essere la sede per la soluzione delle controversie internazionali: soluzioni “diplomatiche, non militari; di pace, non di guerra”. Pensava solo alla Siria? Fabrizio Cicchitto ha ricordato in un convegno che nella commissione Esteri di Montecitorio da lui presieduta nella legislatura appena conclusa il M5S aveva presentato una mozione di 20 pagine (bocciata) spiegando dettagliatamente perché l’Italia dovesse uscire dalla Nato. Oggi Di Maio è il primo tifoso dell’Alleanza atlantica. Ma se il ragionamento di Giulia Grillo sarà la linea futura, come si comporterebbe per esempio in Iraq dove a combattere i terroristi dell’Isis c’è una Coalizione di volenterosi, una Global coalition di 75 Paesi tra cui l’Italia? L’operazione “Prima Parthica” trova legittimazione nell’articolo 51 della Carta dell’Onu (diritto alla legittima difesa) e in due risoluzioni del Consiglio di sicurezza, una sui foreign fighter e l’altra sul rispetto dei diritti umani, dopo la richiesta di soccorso presentata il 20 settembre 2014 dal rappresentante permanente dell’Iraq preso le Nazioni Unite al Consiglio di Sicurezza.
Sarebbero sufficienti in futuro, visto che quell’operazione non è comunque una missione Onu? L’Italia potrebbe andare a combattere il terrorismo internazionale in quelle forme, pur sapendo che in Iraq compie meno azioni di altri?
Significativo è stato anche l’intervento di Guglielmo Picchi (Lega), concentrato sui rapporti con la Russia. In sintesi: il bombardamento sulla Siria non aveva mandato Onu, siamo leali con gli alleati ma se sbagliano dobbiamo dirlo, non è stato corretto Gentiloni a mettere in dubbio la fedeltà della Lega alla Nato. Certo è che Usa e Gran Bretagna sono tornati a una “russofobia dell’800” mentre la Russia “è partner europeo e parte della nostra storia” e “non ci pare corretto sfidare” Mosca. L’Italia, secondo la Lega, deve attuare “una politica estera assertiva in contesti bilaterali e multilaterali” perché “abbiamo gli strumenti per ingaggiare la Russia” anche grazie alla presidenza dell’Osce che quest’anno tocca al nostro Paese. “Ma siamo fedeli alla Nato in caso di scelta di campo” ha aggiunto Picchi.
Dunque, si va dal “pur volendo restare nella Nato” del M5S al “ma” leghista. La diplomazia è l’arte della mediazione, l’arte di mettere la virgola al posto giusto in un documento internazionale. Alla fine, però, si deve arrivare a una scelta e ascoltando quel dibattito parlamentare i dubbi non sono stati sciolti, anzi sono aumentati.