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Che cosa non mi convince del contratto proposto da Di Maio

Se l’obiettivo del Prof. Giacinto Della Cananea, con il suo piccolo seguito di cattedratici, era quello di definire la prima bozza della piattaforma politica del governo che (forse) verrà, l’operazione non è del tutto riuscita. Professore di diritto amministrativo, con tanti prestigiosi incarichi alle spalle, allievo di Sabino Cassese (che propri ieri sulle pagine di un quotidiano ha richiamato il valore di un “contratto alla tedesca”), ovviamente molto vicino a Luigi Di Maio, il suo primo elaborato ha ben poco a vedere con le 177 pagine del Koalitionsvertrag di Angela Merkel.

Somiglia invece a quel “preambolo”, voluto da Arnaldo Forlani che, agli inizi degli anni ‘80, portò al definitivo superamento dell’accordo tra la Dc di Aldo Moro ed il Pci di Enrico Berlinguer ed alla nascita del CAF (Craxi – Andreotti – Forlani). Scelta inevitabile – chioserebbe Sabino Cassese – per dar vita ad un governo, che non può che essere di coalizione. Sennonché sono le caratteristiche “tecniche” del documento presentato che sembrano non prestarsi alla bisogna.

Il documento si articola in 10 punti: “Costruire un futuro per i giovani e le famiglie; contrastare efficacemente la povertà e la disoccupazione; ridurre gli squilibri territoriali; difendere e rafforzare il Servizio sanitario nazionale (dalle minacce dei teorici dell’anti vaccino?); proteggere le imprese ed incoraggiare l’innovazione; per un nuovo rapporto cittadino fisco; un Paese da ricostruire, investire nelle infrastrutture; proteggere dai rischi, salvaguardare l’ambiente;per un’Amministrazione trasparente, tagliare gli sprechi”. C’é forse qualcuno che possa pronunciarsi contro uno soltanto di questi possibili obiettivi?

Gli estensori forse si sono resi conto della genericità dei contenuti proposti – i cosiddetti “temi” continuamente evocati dallo stesso Fico in mandato di esplorazione – al punto che dopo averli analizzati in un maggiore dettaglio hanno proposto di procedere alla costituzione di “dieci gruppi di lavoro che avranno il compito di approfondire e precisare gli obiettivi e gli strumenti d’azione previsti dal presente accordo”. Nell’evidente presunzione che il diavolo si annida nei dettagli. Ma non è solo questo il limite del documento proposto.

Tutti i temi più sensibili della campagna elettorale – quelli che hanno fatto la differenza in termini di voto – sono stati rimossi. Non c’é traccia della flat tax, né del l’abolizione della legge Fornero, né tanto meno dell’immediata espulsione degli immigrati irregolari: argomenti cari a Matteo Salvini. Ma sparisce anche il “salario di cittadinanza” – cavallo di battaglia dei grillini – il tutto annacquato in un generico riferimento alle attuali contraddizioni del mercato del lavoro italiano. Di Europa e di euro nemmeno si parla, se non per indicare la necessità di un diverso ruolo dell’Italia. Ma chi potrebbe negare questa necessita?

Insomma cloroformio puro per propiziare quel matrimonio sia con un pezzo del Centro destra o con il Pd, dopo aver respinto il niet di Matteo Renzi. Mai una rivoluzione annunciata, come quella di Beppe Grillo, in un lasso di tempo così ristretto, ha prodotto un termidoro destinato a porre fine al periodo del Terrore. Quell’apriremo il Parlamento come una scatola di tonno, che fu il biglietto di presentazione del Movimento nella scorsa legislatura.

Inevitabile allora aver con cura eliminato dal documento tutti gli argomenti più sgradevoli: a partire dagli equilibri di finanza pubblica e dal nodo sottostante. Dove prendere le risorse necessarie per costruire quella “città del sole” che gli autori del Programma alla tedesca vorrebbero realizzare? Rispetteranno il fiscal compact? Andranno oltre le colonne d’Ercole del Trattato di Maastricht? Non è dato sapere. Ma forse non è neppure necessario. Il vecchio Arnaldo Forlani avrebbe convenuto.

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