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Di Maio è finito nell’angolo (per ora). Ecco il trappolone che lo ha imbrigliato

rousseau

Dai nemici mi guardo io, ma dagli amici…. Arrivati verso la fine del percorso che porterà inevitabilmente alla formazione di un governo, si scoprono finalmente le carte. Il vicolo cieco in cui è finito Luigi Di Maio altro non è che la conclusione di una serie di scelte che lo hanno portato lì con precisione millimetrica.

Sin dall’inizio i più strutturati esperti di politica avevano spiegato a lui stesso ed ai suoi collaboratori che o andava a Palazzo Chigi con i voti di Berlusconi oppure rinunciava a Forza Italia ma anche al ruolo di presidente del Consiglio. D’altronde, Salvini – si sapeva dal primo momento – gli avrebbe potuto fare sponda ma solo fino ad un certo punto. D’altronde il leader leghista ha più opzioni ed anche più tempo: la sua presa nel partito è pressoché assoluta ed inoltre lui si vede proiettato alla prossima legislatura più ancora che a questa (difficile dargli torto, obiettivamente).

La domanda a questo punto è: come mai Di Maio, che è certamente una persona che non difetta di intelligenza, si è infilato in questo tunnel senza via d’uscita? Il fidarsi ciecamente di Salvini è una spiegazione troppo parziale. Ed ora appaiono con chiarezza i segni di quello che prima in tanti osservavano ma non ammettevano. Il capo politico del M5S ha dovuto (voluto?) subire l’azione diversiva di Beppe Grillo che ha minato dal primo momento l’idea di una intesa che comprendesse Berlusconi (cui pure durante le elezioni Di Maio non aveva affatto chiuso), quindi ha preteso Fico presidente della Camera ed ora – nelle ore più decisive – ha scatenato apertamente Alessandro Di Battista per mettere le ultime cariche esplosive per far saltare ogni ipotesi di accordo per la premiership del giovane leader di Pomigliano D’Arco, reo di essere troppo sensibile ai richiami del potere (e meno ai suoi).

L’obiettivo del co-fondatore del Movimento è quello di puntare proprio a Di Battista alle prossime elezioni – e senza aspettare cinque anni – con in subordine quello di avere in transizione un esecutivo a guida del “suo” Fico, peraltro con il sostegno del Pd. Perché, occhio, se Renzi mai e poi mai potrebbe accettare la premiership dell’arrembante Di Maio, potrebbe invece dire di sì ad una figura “seconda” ritenendo di poter poi avere maggiori spazi di manovra. Tanto peggio, tanto meglio. Che in questo caso verrebbe tradotto così: tanto peggio per Di Maio, tanto meglio per Grillo (e Renzi). Farà in tempo Di Maio a svincolarsi da questa presa? Chissà se è troppo tardi per capire che il suo unico alleato è (dall’inizio) il “delinquente” (nella definizione dell’amico-alleato di Grillo, Travaglio). Proprio lui, Silvio Berlusconi.

Così, tutto torna e si spiega meglio.

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