Skip to main content

Donne e mondo del lavoro. A che punto siamo?

Donne

Alcuni si stupiranno di sapere che negli ultimi dieci anni il tasso di partecipazione delle donne al mercato del lavoro globale, anziché aumentare, è diminuito, passando dal 52,4% al 46,6%. Nonostante se ne parli più di frequente, non sono stati compiuti grandi progressi. Per un’organizzazione come Federmanager, questo significa che stiamo perdendo occasioni di competitività. È una questione di giustizia, ed è una questione economica.

Il tema dell’uguaglianza occupazionale e retributiva sta diventando sempre più urgente anche nei Paesi industrializzati. Perché, come è stato osservato, se nel mondo le donne avessero pari accesso degli uomini nel lavoro e nella società, il Pil globale aumenterebbe del 26%, quello italiano del 15%. L’unico approccio possibile al problema concerne la valorizzazione della persona umana quale elemento soggettivo centrale dei nuovi modelli economici.

La persona è il valore intangibile che fa crescere l’impresa e, in questo campo, la diversità di genere apporta una diversità di visioni che finora ha permesso alle realtà produttive che vi hanno investito, di reagire più agevolmente al contesto di crisi economica globale. Dirò di più. Laddove si è costruita una governance mista, assegnando alle donne ruoli di leadership in azienda, si sono gestiti in modo efficace alcuni grandi fenomeni che stanno rivoluzionando i mercati globali come: la crescita del potere di acquisto della componente femminile della popolazione, l’impatto di Internet sui modelli di business o, ancora, il cambio di ruoli e di atteggiamento degli uomini verso la vita familiare, il lavoro e i consumi. L’equazione è elementare: maggiore investimento nel benessere della persona-lavoratrice, maggiore risultato in termini di produttività. Ma come realizzarla è meno scontato.

Con questo obiettivo Federmanager ha promosso un progetto intitolato “L’altra dimensione del management. Il valore aggiunto delle donne tra impresa, famiglia e società”, invitando a dibattito in Vaticano, lo scorso 4 maggio, una numerosa community di manager, imprenditori, esponenti del mondo accademico, della Chiesa cattolica, delle istituzioni. Abbiamo realizzato un’indagine internazionale chiedendo a uomini e donne in posizioni apicali di raccontarci non solo il proprio punto di vista, ma di indicarci quali soluzioni ritengono percorribili per realizzare uno sviluppo economico sostenibile ed equo, in cui le donne abbiano pari opportunità di inclusione e avanzamento professionale.

Tra le policy indicate, al primo posto c’è la flessibilità lavorativa, seguita da misure di Welfare aziendale e di conciliazione tra vita e lavoro che, auspicano, siano previste in forma paritaria tra uomini e donne. Le politiche di diversity management chiamano aziende e organi di rappresentanza a ripensare la cultura d’azienda. Ma impongono anche al decisore pubblico di sostenere il processo, a partire dal sistema dell’istruzione dove bisogna eliminare le barriere di accesso a percorsi formativi che sono ancora appannaggio degli uomini. Perché si dice “donna manager” e non “uomo manager”? Ci ha fatto osservare una delle tante leader di azienda che abbiamo interpellato. Nel Novecento le donne hanno conquistato diritti civili e diritti sociali. Riusciremo a fare del nuovo millennio il tempo dell’affermazione di una parità compiuta, che sia anche professionale ed economica?


×

Iscriviti alla newsletter