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Ecco dubbi e certezze sull’incontro fra Kim e Moon. Parla Paolo Magri

Un passo a sud del 38° parallelo, poi un altro verso Nord, in direzione Pyongyang. Il balletto di photo-opportunity fra i leader delle due Coree Kim Jong-un e Moon Jae-in entrerà nei libri di storia. Tanto più dopo che il dittatore nordcoreano ha scandito ad alta voce: “Non ci sarà più la guerra sulla penisola e dunque una nuova era di pace è iniziata”. La cerimonia di accoglienza di Kim nella Corea del Sud è ricca di simbolismi: i vestiti, le vigorose strette di mano e perfino gli abbracci, il saluto della guardia d’onore con gli abiti tradizionali, nulla è stato lasciato al caso.

Per arrivare alla sostanza dell’incontro, però, è necessario mettere da parte per un attimo i rullini fotografici. Al momento, infatti, fra i due Stati vige solo un armistizio. Per il trattato di Pace, che metterà formalmente fine alle ostilità fra Pyongyang e Seul, ci sarà da aspettare fino al 27 luglio, sessantacinquesimo anniversario dalla fine della guerra di Corea. Per di più, al momento l’impegno per la denuclearizzazione del Nord rimane una promessa verbale ancora lontana dall’esser mantenuta, mentre a Sud il sistema americano anti-missili Thaad rimane puntato verso il confine.

I precedenti ci sono, e non sono proprio rassicuranti. Sorrisi e abbracci avevano ugualmente animato l’incontro bilaterale del 2000 tra il presidente nordcoreano Kim Jong-il e l’omologo sudcoreano Kim Dae-jung. L’attuale presidente Moon, allora capo della segreteria presidenziale, aveva preparato nei dettagli il meeting, salvo poi dover assistere a un rapido ritorno dei rapporti bilaterali alla fase precedente.

“Ci sono segnali positivi, ma la cautela, alla luce dei precedenti storici, è d’obbligo”, commenta ai microfoni di Formiche.net Paolo Magri, direttore dell’Ispi. Le dichiarazioni d’intenti “sono incoraggianti ma non nuove”, ci spiega. “Sappiamo che questi negoziati si complicano quando si parla dei tempi e delle modalità di gestione dello stock pregresso di armamenti, delle modalità di ispezione e controllo”.

È importante dunque capire il cambio di passo di Kim. Non una boutade, ma una precisa mossa strategica: “Kim ha cercato in tutti i modi di spezzare l’alleanza fra la Corea del Sud e gli americani facendo leva soprattutto sulle diverse sensibilità fra i due Paesi rispetto al rischio di attacco – potenzialmente nucleare – legate alla diversa prossimità geografica”. Bisogna allora collocare il summit bilaterale in un disegno di lungo periodo, avvisa Magri: “L’incontro era chiaramente preparatorio rispetto all’appuntamento realmente decisivo – quello con Donald Trump – dove il negoziato sarà duro perché il presidente americano non vorrà produrre un accordo attaccabile dai suoi oppositori per gli stessi motivi per cui lui sta contestando l’accordo con l’Iran. L’obiettivo di questa tappa intermedia era confermare la volontà di negoziare, e a quanto sembra finora la missione è compiuta”.

Dubbi e timori nulla tolgono però alla portata dell’incontro fra Kim e Moon: “È l’incontro fra due leader di Paesi tecnicamente ancora in guerra e che sembravano avviati ad un nuovo conflitto. Basterebbe ricordare che fino a pochi mesi fa si discuteva del possibile impatto dei missili nordcoreani sulla popolazione di Seul” ricorda il direttore dell’Ispi.

Indiscutibile secondo Magri l’apporto decisivo dell’amministrazione Trump per la preparazione dello storico meeting: “è innegabile che la nuova politica di massima apertura di Kim abbia tratto impeto da quella di massima chiusura di Trump”, dice. Ma i meriti non sono solo di Washington: “Non solo Trump, l’intera comunità internazionale (Cina inclusa) ha rafforzato significativamente le sanzioni economiche contro il regime di Pyongyang. Al bastone di Kim ha fatto da controaltare la carota, o meglio il ramoscello d’ulivo del presidente Moon”.

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