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Ecco il Def (senza riforme) di Gentiloni

Alla fine è arrivato. Visto e considerato lo stallo politico a oltranza, con Roberto Fico che non salirà al Quirinale da Sergio Mattarella prima delle 17.00, il governo uscente di Paolo Gentiloni ha fatto quello che non poteva evitare di fare. Approvare il Def, già slittato di tre settimane a causa della medesima palude politica. Ovviamente l’impasse non ha mancato di farsi sentire sui lavori del Consiglio dei ministri riunitosi questa mattina. Il testo uscito da Palazzo Chigi è infatti zoppo, o “particolare” come si dice in gergo. Ovvero a politiche invariate: certifica solo l’attuale fase di ripresa del Paese ma non indica le riforme da farsi per il futuro. Questo, se mai arriverà, spetterà al nuovo governo. Gentiloni consegna dunque ai posteri un’Italia con stime di crescita superiori, una volta tanto, allo “zero virgola”.

I numeri sono stati forniti dal responsabile del Tesoro, Pier Carlo Padoan: “La crescita per il 2017 si è attestata a 1,5%, il dato è confermato per il 2018. L’1,5% riflette un atteggiamento prudenziale di quello che l’economia italiana può produrre. Nel 2019 il Prodotto interno lordo scenderà all’1,4% e nel 2020 all’1,3%. Quanto al debito è indicato al 130,8 nel 2018, 128 nel 2019 e 124,7 nel 2020.

Gentiloni ha colto l’occasione anche per rivendicare il lavoro fin qui svolto dal suo esecutivo, rivolgendosi per esempio a chi si aspettava all’indomani del 4 marzo una tempesta finanziaria sui mercati. “I risultati dell’economia italiana certificati nel Def spiegano anche il fatto che molti si domandano come sia possibile che nonostante l’incertezza sugli scenari politici non abbiamo avuto turbolenze nei mercati in queste settimane, e siccome non facciamo i profeti di sventura siamo molto contenti che non ci siano state e non ci siano turbolenze nei nostri mercati. Se guardiamo allo spread, guardiamo all’andamento della Borsa italiana vediamo che ciò che il Def fotografa è un elemento di rassicurazione per gli investitori, per l’economia italiana”.

L’incognita più grande è legata alle clausole di salvaguardia e agli aumenti Iva necessari per risanare i conti pubblici e rispettare le regole europee di pareggio di bilancio. Ad oggi il governo uscente non si è sbilanciato, tenendosi alla larga da possibili soluzioni con cui disinnescarli. Il fatto è che fino alla fine del 2018, i rialzi sono scongiurati, ma il problema si pone dal 2019, anno su cui gravano 12,4 miliardi di aumenti, e il 2020, con ben 19,1 miliardi.
Uno scatto in avanti dell’imposta penalizzerebbe i consumi e, secondo quanto il Mef si appresta a indicare nel Documento, avrebbe un effetto recessivo anche sul Pil, con un temuto rallentamento nel prossimo biennio. Una nuova contrazione dell’economia approfondirebbe ulteriormente il gap con gli altri Paesi europei, dove la crescita prosegue ormai rapidi, ed avrebbe un inevitabile automatico effetto anche sui livelli di deficit e debito.

 

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