“Nella Balena Bianca ogni leader scudocrociato sapeva che l’Italia è alleata degli Usa e amica della Russia. Ogni iniziativa di politica estera, dunque, va concordata con Washington, altrimenti sono solo battute in libertà”. Gianfranco Rotondi, neo eletto in Parlamento nelle liste di Forza Italia, guarda con una certa preoccupazione alle esternazioni del leader della Lega, che ha annunciato, nel caso andasse a Palazzo Chigi, di voler togliere le sanzioni alla Russia.
Onorevole Rotondi, la politica estera va concertata?
Noi abbiamo due interlocutori principali: l’America e l’Europa. Le singole iniziative degli Stati in questo quadro non hanno senso, lo dice la nostra storia repubblicana. Salvini fa bene a porre la questione su un tema che gli sta a cuore, ma più in là non può andare. Ripeto, ogni iniziativa deve essere inserita nel quadro più ampio dell’alleanza con gli Usa. Lo faceva la vecchia Dc e vale ancora oggi. Berlusconi, per esempio, è amico di Putin da molto tempo, ma non si sognerebbe mai di dire certe cose.
Da tempo sulla Lega aleggia l’accusa di essere sovvenzionata da Mosca…
Non è mai stata trovata conferma, Salvini ha smentito e io non sono propenso a credere alle leggende metropolitane.
Veniamo alla politica interna: mercoledì iniziano le consultazioni al Quirinale, lei cosa prevede?
Prevedo delle consultazioni lunghe: uno, due, anche tre giri di incontri sul Colle. Questo anche per non interferire con le elezioni regionali in Friuli, che si terranno a fine aprile. Ci sarà un andamento lento, ma io sono ottimista. Dopo il voto regionale, verrà dato il via libera a una maggioranza di governo.
Ovvero?
Io credo che il patto Salvini-Di Maio sia assai solido, come si è dimostrato nell’elezione dei presidenti delle Camere e anche degli uffici di presidenza di Montecitorio e Palazzo Madama. Salvini è un politico esperto e accorto: non avrebbe mai dato a Fico la ribalta della presidenza della Camera se non vi fosse già un accordo di ferro con Di Maio sul governo.
Lei parla di Salvini come leader della Lega o come leader del centrodestra?
Del centrodestra. Salvini ha trattato con Di Maio e continuerà a farlo come rappresentante della coalizione. Mollare gli alleati non gli conviene assolutamente: a parte la coerenza rispetto agli ultimi anni e alla campagna elettorale, suo interesse è trattare con i grillini in una posizione di forza piuttosto che di debolezza.
Quindi il veto di Di Maio su Berlusconi è destinato a cadere?
Un veto vero e proprio non c’è mai stato. Del resto anche quando Moro trattava con Berlinguer, del compromesso storico ci rimane solo una foto dove i due si stringono la mano. Di Maio non si farà fotografare con il leader di Forza Italia, ma non può impedire al suo partito di entrare direttamente in un governo di centrodestra con l’M5S. D’altronde anche Berlusconi di fronte a Di Maio non fa i salti di gioia.
Chi farà il premier?
Mi auguro che sia uno dei due: Di Maio o Salvini.
Che tipo di governo sarà?
Immagino un esecutivo con un programma alla tedesca, con cinque o sei punti precisi che metta in campo anche una riforma istituzionale. Non è un caso che i partiti che si apprestano a formare una maggioranza al referendum di Renzi hanno votato no.
Che tipo di riforma?
Occorre stabilire finalmente se vogliamo una riforma presidenziale oppure no, se vogliamo superare il bicameralismo perfetto, se vogliamo ridurre il numero dei parlamentari…
E il Pd?
Può tornare in campo proprio sulle riforme. Sul resto è destinato a restare alla finestra. Del resto un’alleanza centrodestra-M5S ha il sapore di una grande coalizione con unico escluso il Pd.
Un esecutivo del genere quali carte ha per durare e come invece potrebbe fallire?
Durerà grazie all’azione di Berlusconi che mette sempre al primo posto la governabilità. Può fallire se esplode una gelosia politica eccessiva tra Di Maio e Salvini.
Intanto, senza un esecutivo in carica, i 5 Stelle si apprestano a tagliare i vitalizi agli ex parlamentari.
Io sono contrario, perché le riforme non dovrebbero mai riguardare il passato e i diritti acquisiti, ma valere solo per i comportamenti futuri. E infatti ero contrario anche alla riforma Richetti. A mio avviso, se si vuole intervenire sul tema, si può ridurre l’indennità, a partire da noi nuovi eletti: se cala lo stipendio, calano anche i contributi e quindi la pensione. In questo modo diventa un sacrificio accettabile, secondo il modello grillino, invece, è un pasticcio.