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Iran e non solo. Ecco come difendiamo Israele. Parla Peri (ex direttore Shin Bet)

Nello scenario politico israeliano è considerato un’istituzione, un moderato che non ha mai risparmiato severe critiche all’operato del premier Benjamin Nethanyahu. Ma quando si tratta di sicurezza nazionale Yaakov Peri, direttore dello Shin Bet, i servizi segreti israeliani, fra il 1989 e il 1994, poi ministro della Scienza fra le fila di Yesh Atid, mette da parte la politica per far spazio all’esperienza. E i lunghi anni di servizio fra gli 007 israeliani gli impongono di giudicare la minaccia iraniana e le tensioni con i palestinesi senza pregiudizi ideologici. Intervistato in esclusiva da Formiche.net, l’uomo che ha guidato la Difesa israeliana negli anni della prima intifada racconta le nuove sfide cui il governo di Tel Aviv è chiamato a rispondere con urgenza: dagli sviluppi della guerra in Siria all’avanzata degli iraniani verso il confine, fino alla “grande marcia del ritorno” palestinese che in questi giorni sta facendo decine di vittime e feriti.

Direttore Peri, Israele festeggia i suoi 70 anni in un momento di gravi tensioni regionali. È il periodo storico più pericoloso dalla sua fondazione?

Non credo sia la situazione più pericolosa nella storia di Israele. Ma se guardiamo al futuro la pesante presenza dell’Iran in Siria, l’ammontare di uomini, logistica, missili che l’Iran sta investendo in quelle terre, a pochi chilometri dal confine nord di Israele, costituisce una seria minaccia per noi. Per questo Israele sta facendo appello alla comunità internazionale, agli Stati Uniti, all’Europa. Devono vigilare affinché la presenza russa in Siria non supporti le forze iraniane.

L’Iran ha combattuto attivamente l’Isis in Siria. Perché costituisce una minaccia diretta a Israele?

Ovviamente la lotta ai jihadisti è nell’interesse di Israele, mi sembra chiaro che non siamo grandi amici dell’Isis (ride, ndr). Ma questo nulla toglie alla minaccia che costituisce la presenza iraniana in Siria e in Libano. Da un lato l’Iran sta difendendo Bashar al Assad, ma al tempo stesso si prepara ad essere egemone in quella parte del mondo qualora il regime cadesse. In Libano gli iraniani sostengono e finanziano Hezbollah.

Crede che, una volta conclusa la guerra in Siria, gli iraniani abbandoneranno la regione?

Non lo faranno. A meno che la comunità internazionale non serri le fila con Israele chiedendo all’Iran di ritirare le sue truppe. Ma non ci sono molte chances che questo accada.

Perché è convinto che Israele sia il prossimo obiettivo dell’Iran di Rouhani?

Basta ascoltare le dichiarazioni del regime iraniano: sono contro i sionisti, contro l’esistenza stessa di Israele, e non accettano la nostra presenza a Gerusalemme, città per loro sacra. Non c’è dubbio che, oggi come domani, Israele rimarrà l’obiettivo numero uno degli iraniani, ma faremo di tutto per fermarli.

Per questo avete colpito la base iraniana in Siria T-4 con dei raid aerei?

Esattamente. È una base iraniana pensata per attaccare Israele con missili, strikes aerei e qualunque altro mezzo ed è molto vicina al nostro confine. Israele ha il dovere di difendere i suoi cieli dagli attacchi di questa e altre basi iraniane.

Accetterete una soluzione della guerra in Siria che lasci Bashar al Assad al potere?

Non credo che qualcuno chiederà ufficialmente a Israele qual è la sua posizione. Ovviamente saremmo più confortati se ci fosse una soluzione concordata del conflitto siriano che preveda l’immediato allontanamento delle forze iraniane dal territorio.

Ritiene plausibile che Assad abbia usato le armi chimiche nel massacro di Duma?

Ci sono diverse prove che attestano come a più riprese in passato l’esercito siriano, assieme alla Russia e altre forze presenti in Siria, abbia fatto uso di armi chimiche contro i civili, comprese donne e bambini. Non è la prima volta e purtroppo non ci sono garanzie che sarà l’ultima. La comunità internazionale non può tollerare una tale crudeltà contro il popolo siriano, e questo spiega il raid di Stati Uniti, Francia e Regno Unito.

Veniamo al crescendo di tensioni con i palestinesi. In queste settimane la “Grande marcia del ritorno” ha lasciato a terra diverse vittime.

Questa manifestazione è tutto fuorché una protesta pacifica. Lo scopo è attirare l’attenzione della comunità internazionale e i media all’estero sul boicottaggio che va avanti dal 2007 nella striscia di Gaza. Hamas, organizzazione terroristica che vuole distruggere lo Stato di Israele, sta cercando di commuovere alle lacrime il mondo per far pressioni sul governo di Tel Aviv e mettere fine al boicottaggio, ma non c’è neanche una possibilità che Israele ceda.

Ci sono stati preparativi per attentati sul suolo israeliano da parte di Hamas?

Ultimamente il governo israeliano è riuscito a mettere fuori gioco decine di tunnel sotterranei, infliggendo al corpo militare di Hamas un duro colpo. Per questo ora usa i civili come scudi contro le difese israeliane, facendoli correre contro i soldati di guardia al confine. Purtroppo alcuni hanno perso la vita, ma Israele non vuole certo uccidere i palestinesi, vuole solo difendere il suo confine a Sud. È ormai diventata un’abitudine ogni venerdì. Qualche centinaio di persone, talvolta alcune migliaia, inizia a correre contro le difese israeliane cercando uno scontro. Ovviamente appena qualcuno viene colpito da un soldato i media internazionali aumentano il pressing su Israele. Ma non è possibile stare al confine e non difenderlo, questo è fuori questione.

Però negli scontri è stato ucciso anche un ragazzo di quindici anni, e due settimane fa un giornalista.

Quando un soldato si trova in piedi alla sua postazione, e vede qualcuno correre contro di lui, non riesce a identificare in pochi attimi se ha 16 o 30 anni, se è un civile o un giornalista. Ripeto, Israele non ha nessuna intenzione di ferire o uccidere i palestinesi. Ma i soldati devono difendere il confine, perché se permettessero a tutti i manifestanti di attraversarlo ci potrebbe essere un massacro, spero che i palestinesi capiscano. Purtroppo Hamas continua a usare i civili per fare uscire il “volto cattivo” di Israele agli occhi dei media internazionali.

È indubbio che il pugno di ferro di Nethanyahu sugli insediamenti non aiuti a trovare una soluzione.

Il problema degli insediamenti e la soluzione della disputa fra israeliani e palestinesi sono due cose diverse. Io sono convinto che il governo israeliano dovrebbe fare dei passi avanti nei negoziati. Ma purtroppo con l’attuale esecutivo le chances sono molto basse, su questo non mi trovo d’accordo con Benjamin Nethanyahu.

In un momento di così grave tensione accelerare sul riconoscimento di Gerusalemme come capitale di Israele non rischia di essere un autogol?

Israele considera Gerusalemme la sua capitale e tutti i Paesi che riconoscono Israele lo accetteranno senza problemi. La disputa fra israeliani e palestinesi non si risolverà rinunciando al riconoscimento di Gerusalemme capitale. Attorno alla città ci sono molti insediamenti che i palestinesi possono ottenere con un negoziato. Non c’è un israeliano che non consideri Gerusalemme la sua antica, sacra e rispettata capitale. Se l’Italia vorrà seguire l’esempio degli Stati Uniti spostando la sua ambasciata a Gerusalemme saremo felici di accoglierla.

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