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Gli italiani e la guerra in Siria. Cosa dicono davvero i sondaggi Swg e Ipsos?

In Italia, è un fatto noto, la politica estera difficilmente occupa le prime pagine dei giornali, che peraltro nelle ultime settimane erano giocoforza troppo occupate a raccontare i balletti sulle consultazioni per gettare lo sguardo oltre confine. La crisi siriana, però, ha costretto tutti a lasciare per un attimo le cose di casa nostra per concentrarsi sullo scenario mediorientale, dove prima l’attacco chimico del Regime di Assad a Douma (7 aprile) e poi i raid aerei di Usa, Gran Bretagna e Francia (14 aprile) hanno suscitato accesi dibattiti nell’opinione pubblica italiana.

I sondaggi Ipsos e Swg hanno provato a tastare il polso degli italiani, per capire come la pensano sugli ultimi sviluppi della crisi siriana.

Secondo il sondaggio Swg, ben il 73% degli italiani boccia la scelta di bombardare di Usa, Francia e Gran Bretagna, “un’aggressione a un Paese sovrano” e “una violazione del diritto internazionale” per il 31% degli intervistati. La posizione del PD, riassunta nelle parole di Fassino, dove si ribadisce “l’impegno diplomatico per bandire l’uso di armi chimiche” e si parla di “restituire la parola al negoziato” per mettere fine alla crisi è quella che raccoglie più pareri favorevoli, il 56%. Se si chiede poi agli italiani se ritengano giusto aumentare le sanzioni contro Mosca, complice dell’uso di armi chimiche in Siria, più della metà degli interrogati si dichiara contraria.

La fotografia dell’istituto Ipsos è molto simile. Il 54% degli intervistati ritiene l’intervento armato di Usa, Francia e Gran Bretagna “non giustificato”, perché il vero nemico da combattere è il terrorismo o perché i rischi di escalation sono troppi. Di più, secondo il 39% l’attacco chimico sarebbe solo “un pretesto” usato dalle tre potenze per intervenire contro Assad e la Russia. Il 74% degli italiani ritiene dunque giusta la scelta del governo di non partecipare all’attacco, mentre il 59% condanna la partecipazione delle potenze europee, Francia e Regno Unito.

Sulla Siria, questo forse uno dei dati più interessanti, l’Italia riscopre la sua vocazione filo-europea. Il 51% degli italiani ritiene infatti che su questo dossier il punto di riferimento debba essere l’Ue. Negativa è invece l’opinione degli italiani verso Donald Trump, ritenuto dal 71% un “fattore di instabilità mondiale”.

I numeri dei due rilevamenti confermano la storica avversità degli italiani all’interventismo militare e la preferenza per lo strumento diplomatico. Tuttavia, se letti con poca attenzione, i risultati rischiano di restituire un’immagine distorta dell’opinione pubblica italiana.

Sarebbe interessante infatti capire se il 73% degli intervistati che ha bocciato la “scelta di bombardare la Siria”, avrebbe risposto allo stesso modo se gli fosse stato chiesto un parere su degli attacchi mirati, che non hanno prodotto vittime, e che fanno seguito all’ennesima violazione dei diritti umani da parte di un regime, quello siriano, che negli ultimi sette anni si è reso protagonista di innumerevoli atrocità nei confronti della propria popolazione e che è in larga parte responsabile delle 350mila vittime del conflitto siriano. Probabilmente, cambierebbe anche il giudizio del 54% degli intervistati da Ipsos che ritengono l’attacco non giustificato perché compiuto contro chi veramente combatte il terrorismo, se fosse loro ricordato che la ritirata di Isis da Iraq e Siria non si deve tanto ai bombardamenti aerei dei russi, che sono serviti piuttosto a liberare dai ribelli anti-Assad le zone costiere dove Mosca ha le sue due basi militari, né tantomeno all’azione del Regime, a cui anzi Isis consentiva di distogliere l’attenzione della comunità internazionale dalle atrocità che commetteva per garantirsi la sopravvivenza.

Piuttosto, un ruolo fondamentale per combattere lo Stato Islamico l’ha svolto la coalizione internazionale guidata proprio dagli Usa, in cui vale la pena ricordare il contributo dei combattenti curdi.

Ancora, chi parla di “pretesto” con riferimento all’attacco chimico probabilmente ha in mente la campagna Irachena del 2003, dove effettivamente, per ammissione degli stessi protagonisti, la presenza di armi di distruzione di massa servì a legittimare un intervento osteggiato dall’opinione pubblica mondiale.

Tuttavia, il paragone è quantomeno inappropriato. Il raid aereo del 14 aprile non assomiglia nemmeno lontanamente a un principio di invasione. E, cosa forse ancora più importante, se i neocon dell’amministrazione Bush credevano nel regime change come opzione di politica estera, l’attuale inquilino della Casa Bianca non ha nessuna intenzione di impelagarsi in un conflitto totale con il Regime siriano e i suoi alleati. Anzi, ha più volte dichiarato il suo desiderio di ritirare tutte le truppe americane presenti sul territorio.

Insomma, una partecipazione più attiva e più consapevole degli italiani alle vicende internazionali è sicuramente benvenuta. Tuttavia, analizzare un singolo episodio di uno scacchiere così complesso come quello siriano, senza avere un’idea chiara del quadro complessivo rischia di essere un esercizio poco utile e forse persino dannoso.



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