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Macron in crisi. Ai francesi puoi togliere tutto tranne trasporti (e baguette)

Emmanuel Macron non intende recedere dalle decisioni già prese. Le ferrovie dello Stato francesi andranno “riformate”. Anzi, non saranno più di Stato. Cioè pubbliche. La concorrenza sostituirà il monopolio. La privatizzazione il sistema pubblico. E migliaia di ferrovieri perderanno, con certezza, il posto di lavoro.

L’insostenibilità del regime attuale non consente altre strade secondo il governo tecnocratico del presidente francese. E non gli si potrebbe dare torto se soltanto si considerasse che gli operatori del settore che svolgono servizio attivo, vale a dire “usurante”, a cominciare dai macchinisti, possono andare in pensione tra i cinquanta ed i cinquantacinque anni, mentre quelli “sedentari”, applicati cioè prevalentemente lavoro d’ufficio, la pensione possono ottenerla tra i cinquantacinque ed i cinquantasette anni. Una disparità di trattamento inaccettabile rispetto alle altre categorie , come chiunque, tranne i sindacati, riconosce. Ma il problema ne nasconde un altro, molto i più importante non solo per i ferrovieri. Ed è altrettanto inaccettabile, per le conseguenze che avrà: la volontà, definita “dogmatica” dagli oppositori di Macron, di smantellare la Sncf per liberalizzare le ferrovie, aprire ai privati con tutto quel che ne deriva e che tiene in ansia gli utenti per le inevitabili ricadute: costi maggiori dei biglietti, tagli delle linee secondarie, diminuzione del personale con aggravi e disagi per i viaggiatori stessi a cominciare dai pendolari.

È per questo che le manifestazioni di questi giorni, prima fra tutte quella imponente di due settimane fa da Parigi tra Place de la République e la Bastiglia, coinvolgono studenti, cittadini comuni e lavoratori non ferrovieri poiché il sistema pubblico dei trasporti in Francia è una sorta di “mito” a prescindere dalle discrepanze economiche e di trattamento generale tollerate, quando non sostenute demagogicamente sotto il ricatto dei sindacati, per decenni dai governi di destra e di sinistra.

“Il governo terrà duro”, ha detto la titolare del ministero dei Trasporti Elisabeth Borne. La quale ha spiegato che incontrerà i sindacati sull’apertura alla concorrenza, sul debito e sul quadro sociale ma senza minimamente mettere in discussione la riforma voluta da Macron che andrà sicuramente “in porto nella concertazione e nel dialogo”.

Su quest’ultimo punto i sindacati non sono per niente convinti. Sarà battaglia fino all’ultimo. E gli scioperi programmati per i prossimi due mesi indicano una posizione irremovibile che con ogni probabilità troverà sponde nell’Assemblea nazionale, soprattutto tra i deputati di Marine Le Pen e di Mélenchon: estrema destra ed estrema sinistra daranno filo da torcere ai liberisti di Macron. E non è detto che alcuni tra i difensori dello Stato sociale che albergano tra gli ex-gollisti confluiti nei Républicains non si schierino con loro.

Davanti ai deputati intenzionati a sfruttare a loro vantaggio la contestazione contro Macron su uno dei punti più qualificanti del suo programma, il primo ministro Edouard Philippe difendendo “una riforma ambiziosa” quella del riassetto ferroviario appunto, ha chiarito che essa “ non ha per oggetto la privatizzazione della Sncf, non ha per oggetto la chiusura delle linee minori, non ha per oggetto l’eliminazione dello statuto dei ferrovieri, ma ha per oggetto di uscire da questo status quo” che non può “più tenere”. Da quanto si legge sui giornali non gli ha creduto nessuno.

Il progetto è chiaro, perfino per i commentatori meno prevenuti. E mira a concretizzare soprattutto il progetto di coloro che sono stati i maggiori sponsor di Macron: appropriarsi di un asset strategico e molto remunerativo, se “sapientemente” gestito, sia pure “prepensionando” o mettendo in mobilità migliaia di addetti per il quali lo Stato dovrà comunque tirar fuori un bel po’ di quattrini a vantaggio, come tutti dicono, di coloro che sono interessati ad appropriarsi di treni e ferrovie, un vanto francese da quasi due secoli.

Dalle ferrovie agli aerei il passo è breve. Al quarto giorno di sciopero di Air France la situazione si sta facendo pesante, oltre che per i cittadini, per Macron ed il suo governo. Si ha l’impressione che il presidente voglia liberalizzare tutto, il che in un Paese caratterizzato da un forte centralismo ed intriso di statalismo difficilmente verrà digerito.

È probabile, si sostiene negli ambienti parlamentari pur vicini al presidente, che il gradualismo riformista sarebbe stato molto più produttivo in termini politici. Quella di Macron assomiglia ad una rivoluzione impossibile, in stridente contrasto con il carattere stesso della sua presidenza. E forse spiega il declino dell’inquilino dell’Eliseo nei sondaggi di opinione. A meno di un anno dall’elezione è un dato estremamente preoccupante.
En marche, insomma, segna il passo. Macron si butta sulla politica estera come per far dimenticare i problemi interni, senza mutare di una virgola la linea di Sarkozy e di Hollande. Intanto, i tecnocrati macroniani, frastornati dalle cifre, forse non hanno ben chiaro che ai francesi si può togliere tutto tranne i trasporti e la baguette. E l’impero è un ricordo che non li affascina più.


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