Il Carnegie Europe, sezione di Bruxelles del Carnegie Endowment for International Peace (think tank washingtonian che non ha bisogno di presentazioni: è tra i cinque più influenti del mondo), pubblica sul suo sito un blog dedicato all’Europa – “Strategic Europe” il titolo – curato da Judy Dempsesy, già corrispondente europea di Financial Times, Irish Times e del New York Times (quando ancora la pubblicazione esteri del giornale locale si chiamava International Herald Tribune).
Abitudine di Dempsey è anche prendere un tema chiave del dibattito europeo e raccogliere in un post le opinioni di alcuni analisti ed esperti; si chiama “Judy asks”. Si tratta di argomenti strategici per l’Europa (d’altronde lo si capisce già dal titolo del blog) e quello che ne esce è piuttosto interessante nonché importante, perché poi le analisi di certi think tank costituiscono base solida per policy, approcci, posture.
Stavolta Judy fa una domanda diretta: “L’Europa è dietro Macron?“. Il ruolo del presidente francese Emmanuel Macron sta crescendo moltissimo a livello internazionale – ultimamente la visita negli Stati Uniti lo ha fatto scattare in avanti tra i partner preferiti dalla Casa Bianca – e in effetti è arrivato il momento di capire quanto il nuovo Eliseo influirà nel processo europeo.
“Forse sarebbe meglio chiedersi se Macron sta dietro all’Europa”, risponde Krzysztof Bledowski, economista della Manufacturers Alliance for Productivity and Innovation, che spiega che pochi paesi europei sposano completamente la linea del presidente francese, perché per esempio la sua idea di creare un fondo monetario e un budget comune sono “stratificazioni burocratiche” che non piacciono molto.
Sebbene il nuovo capo dell’Eliseo sia stato un fenomeno attraente per diversi leader europei, dice Erik Brattberg, capo del Programma Europa della Carnegie americana, la sua agenda di riforma è piuttosto ambiziosa al punto che si sono formati gruppi di alleanze all’interno dell’Ue, come per esempio i Baltici, l’Olanda e l’Irlanda, che già hanno espresso preoccupazioni per l’impatto delle riforme macroniane e chiesto passi più moderati; o ancora, il gruppo Visegrad s’è compattato ancora di più temendo di soffrire per l’Europa a doppia velocità a cui pensa Macron.
Anche Charles Powel, direttore dell’istituto reale Elcano di Madrid, sottolinea questa spaccatura creata dalle proposte di Macron, e ricorda che tra gli stati più importanti forse solo la Spagna ha apertamente detto di essere favorevole a sostenere innovazioni come il Fondo monetario europeo, un bilancio della zona euro e un ministro delle finanze europeo.
Questo ruolo divisivo viene meno nella lettura di Fraser Cameron, direttore dell’EU-Asia Center, che dice che in definitiva tutti i paesi europei dovrebbero seguire Macron, innanzitutto perché una Francia più forte può far più comodo a chiunque, e poi perché, visto il ruolo che si sta creando, il presidente francese potrebbe essere la porta di passaggio di tante dinamiche che dall’Europa arrivano negli Stati Uniti e viceversa.
Il direttore del Center for European Policy Studies, Daniel Gros, dice che l’idea che per recuperare sovranità serve rafforzare l’integrazione europea, la sovranità europea che Foreign Policy descrive come una sorta di adattamento dell’America First trumpiana, è ottima, ma purtroppo non è molto passata in vari stati.
Probabilmente perché, in molti paesi, ricorda Claudia Major (del tedesco Swp), domina il populismo nazionalistico che vorrebbe il ritorno agli stati-nazione ed è difficile far passare in questo contesto una visione riformista che crede che più Europa sia indispensabile per affrontare le prossime crisi.
Anche François Heisbourg della Fondation pour la Recherche Stratégique crede che la spinta innovatrice con cui la Francia ha scelto lo scorso anno un candidato giovane, aperto alla società, pro-UE, riformista, sia una specie di unicum attualmente (ma per questo potrebbe essere anche una forza). Inoltre, ricorda, anche gli europeisti preferiscono il mantenimento dello status quo alle riforme.
Reme Korteweg, capo della sezione “Europa nel mondo” dell’Istituto Clingendael, dice infatti che c’è differenza nell’approccio dei partner europei quando si parla di politica estera – in quel caso vedono Macron come una guida – da quando si parla di politica interna all’Ue – dove le sue riforme sono lette con più diffidenza.
Dal rapporto con gli Stati Uniti, e dunque dal principale link in politica estera, passa il futuro di Macron in Ue anche per la direttrice della sede parigina dell’Economist, Sophie Pedder: “Quanto più credibile può essere come inviato dell’Europa a Washington, tanto più il giovane leader francese potrebbe essere in grado di fare progressi sulle sue ambizioni per l’Europa”, dice.
L’italiano Gianni Riotta, tra le varie cose membro del Council of Foreign Relations, ricorda che Macron ha grande potenzialità – “È giovane, traboccante di energia e di entusiasmo, e certo del suo ruolo nel plasmare il futuro dell’Europa” –, una di queste è l’intesa con l’americano Donald Trump, però attorno a lui c’è un contesto molto delicato che passa anche (ahinoi) dall’instabilità italiana.