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Macron non aspetta l’Europa e va alla Casa Bianca. L’analisi del GMF

macron nucleare

Due esperti studiosi di relazioni internazionali, Alexandra de Hoop Scheffer e Derek Chollet, in un’analisi per il sito della German Marshall Fund (think tank americano specializzato nell’approfondimento dei rapporti tra Nord America ed Europa), hanno spiegato alla vigilia della visita di Emmanuel Macron a Washington le ragioni di questa così intensa partnership attuale.

I due esperti (la prima Director del Paris Office del GMF ed esperta di relazioni transatlantiche, l’altro vice presidente del think tank, e senior advisor di due capi del Pentagono dell’era Obama) partono da un ragionamento semplice, ad esclusione, che dice: la Francia e gli Stati Uniti, che in passato hanno vissuto relazioni basate sulla rivalità e sul sospetto, in questo momento si trovano particolarmente vicine perché il governo francese ha una stabilità tale che altri esecutivi europei alleati statunitensi non hanno.

Il Regno Unito – sebbene in queste ultime settimane abbia cercato di rafforzare la special realtions che guida l’anglosfera – soffre il peso della Brexit; la Germania è stata incastrata in un percorso travagliato per chiudere la maggioranza a sostegno del nuovo giro di governo della Cancelliera Angela Merkel (che comunque il 27 aprile sarà anche lei a Washington, e giocherà le sue carte); l’Italia non pervenuta, senza governo, “ha mostrato accenni di leadership, ma è di nuovo impantanata in una palude politica”.

Poi c’è il fattore Macron. Quando la Francia lo scorso anno rischiava di finire in mano all’estremismo di Marine Le Pen, i francesi scelsero la sicurezza innovativa che En Marche! prometteva, e così il mix di nazionalismo moderno ed europeismo d’interesse, ha creato un leader in grado di farsi interlocutore europeo oltreoceano.

Il presidente francese, dicono gli analisti del GMF, ha capito meglio di chiunque altro Donald Trump, anche perché – sebbene diversi per modi, generazione, approcci – hanno visioni non troppo dissimili. L’accoglienza per la presa della Bastiglia nel luglio scorso è stata un messaggio esplicito al presidente americano, che gode di queste attenzioni. Aver risposto subito “presente” sulla linea militaresca punitiva contro l’attacco chimico di Douma, è stato un passaggio fondamentale nel futuro del rapporto tra la Washington trumpiana e la Parigi macroniana.

Però, questo “metodo-Macron” (come lo chiama la GMF), è già sotto stress, e il rapporto non è un idillio. Il presidente francese s’è mostrato aperto con Trump, sperando di spostarlo su posizioni più sue in questioni come il cambiamento climatico, l’Iran, il commercio internazionale, o più nello specifico la vicenda dell’ambasciata americana a Gerusalemme, ma non sta ottenendo – finora – risultati. (L’obiettivo di Macron era anche intestarsi il merito per il cambiamento di posizioni di Trump per ottenere ulteriori plausi dalla comunità internazionale).

Tuttavia, spiegano gli analisti che “il metodo Macron è molto più sottile, e spiega perché il presidente Trump lo ha invitato come primo leader internazionale in una visita di stato: Macron si è rapidamente posizionato come interlocutore europeo di fiducia rifiutando di andare [troppo] contro Trump o di sfidarlo direttamente”.

Sostanzialmente, Macron sta cercando di mantenere il dialogo bilaterale forte e costante (e il bilateralismo è l’approccio preferito da Trump, ma pure dal presidente francese, che ha una visione dell’europeismo molto vincolata alla propulsion français), trovando luoghi di interesse comune, ma difendendo al tempo stesso gli interessi francesi.

In definitiva, “l’obiettivo del presidente francese è convincere la sua controparte americana che può raggiungere gli stessi obiettivi politici attraverso mezzi meno distruttivi”, spiegano i due analisti del think tank americano.

Nel frattempo, però, dall’Eliseo hanno capito meglio di chiunque altro che in fondo, per la Francia, il generale disimpegno americano da molti dossier non è che un bene. Macron è stato uno dei leader europei che – anche per indole personale – ha colto più velocemente l’opportunità che le incertezze strategiche della presidenza Trump offrivano in termini di autonomia politica e indipendenza per la propria nazione.

E d’altronde, un’Europa più autonoma, soprattutto dal punto di vista operativo (quello annunciato da Macron nell’European Intervention Initiative, presentato col discorso alla Sorbona del settembre scorso) mira a rafforzare il legame transatlantico in un momento in cui Washington chiede agli alleati – soprattutto europei – più condivisione degli oneri.

 

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