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Sì al dialogo ma senza sconti sui contenuti. Parla Luigi Marattin (Pd)

Discutere sì – per serietà e per rispetto istituzionale – ma da qui a ipotizzare soltanto una possibile alleanza di governo con il MoVimento 5 Stelle ce ne passa. Anzi – stando alla versione del deputato Pd Luigi Marattin – uno scenario del genere è da scartare del tutto. “Tra noi e i cinquestelle non ci sono sfumature programmatiche o lievi divergenze su questioni marginali”, ma qualcosa di ben più profondo, ha rilevato il parlamentare Dem, vicinissimo a Matteo Renzi. Con il quale però – ha raccontato ironicamente Marattin in questa conversazione con Formiche.net – in questi giorni ha parlato soprattutto della volata scudetto tra Juventus e Napoli. La realtà politica, però, è ovviamente un’altra: in questa fase il Pd appare tornato al centro della scena, anche per la difficoltà di interlocuzione tra pentastellati e Lega.

Per la prima volta dopo il voto del 4 marzo, il Pd ha riacquistato una centralità politica. Come pensa sia giusto avvalersene?

In politica la centralità te la danno gli elettori, non le manovre post-voto. E il 4 marzo gli elettori ci hanno messo in una posizione periferica, senza neanche che – a mio parere – si sia completata una analisi degna di questo nome sul perché sia successo (parlo di analisi, non di regolamenti di conti interni). Tuttavia, a quasi due mesi dal voto coloro che invece hanno ricevuto dagli elettori una posizione assolutamente centrale – centrodestra e M5s – si sono dimostrati totalmente incapaci di metterla a frutto nell’interesse di chi li ha votati e di tutti gli italiani. A mio parere il Pd deve vivere questa delicata fase con serietà, un termine che in questi giorni preferisco a “responsabilità”: serietà significa essere consci sia della chiarezza del risultato elettorale, sia della consistenza del nostro gruppo parlamentare. Nel pieno rispetto, ovviamente, delle istituzioni repubblicane e di chi protempore le rappresenta, a cominciare dal Presidente Mattarella.

Cosa si aspetta dal mandato esplorativo conferito dal Capo dello Stato a Roberto Fico? È cambiato lo schema di gioco?

Il Presidente Fico ha ricevuto un incarico dal Presidente della Repubblica ed elementare grammatica istituzionale obbliga non solo a incontrarlo ma anche a prendere questo tentativo con il rispetto e la serietà che merita. Tuttavia “serietà” significa anche altre cose. Significa prendere atto che tra i cinquestelle e il Pd non ci sono sfumature programmatiche o lievi divergenze su questioni marginali: il M5s ha basato i suoi 5 anni di opposizione e la sua intera campagna elettorale sulla distruzione sistematica di tutto quanto fatto dai governi Pd, dall’Europa ai vaccini, dalle tasse alla scuola, dalla pubblica amministrazione alla giustizia. Su ciascuno di questi temi, e su altri, l’M5S ha assunto non posizioni diverse, ma radicalmente opposte alle nostre. Se la politica è quella cosa che prescinde totalmente dalle posizioni politiche e dagli intendimenti programmatici (su cui si raccoglie il voto dei cittadini), a cosa si riduce? Ad una commedia?

Tuttavia, il contratto proposto dal M5s e redatto dal giurista Giacinto della Cananea sembra scritto apposta per parlare al Pd. Nota anche lei questo processo di avvicinamento a voi dei pentastellati?

In quel documento ci sono scritti titoli, non proposte concrete. “Ridurre gli squilibri territoriali”, “giustizia per tutti”, “incoraggiare l’innovazione”, “proteggere la sanità”, “salvaguardare l’ambiente”. Questo non è un contratto di governo, è la fiera delle banalità. Ci manca “la mamma è buona”, e “una giornata di sole è meglio che una giornata di pioggia”. Nei giorni scorsi Maurizio Martina ha fatto invece tre proposte concrete, su famiglie, lavoro e povertà, e il M5s ha detto che erano interessanti. Ma allora sono ancora più perplesso: quelle tre proposte facevano parte del programma con cui il Pd si è presentato alle elezioni, e a loro volta rappresentavano il “secondo tempo” degli interventi realizzati nella scorsa legislatura. Cioè tutto ciò contro cui il M5S si è sempre scagliato con violenza e nettezza. Quindi la mia domanda è semplice: ma chi credono di prendere in giro?

Sull’Europa, in particolare, però i cinquestelle appaiono oggi molto meno estremisti. Lo considera un segnale positivo?

Cosa vuole che le dica. Per 10 anni, e fino al mese scorso, hanno detto che dovevamo uscire dall’euro, che questa è solo l’Europa dei banchieri, e tutto il resto del campionario sovranista e populista. Ora improvvisamente dicono che l’Europa è una collinetta in fiore e che dobbiamo rispettare i vincoli di bilancio (anche quelli più assurdi). Mi dica lei se questa è serietà.

Anche alla luce delle forti divergenze sull’Europa e più in generale sui temi della geopolitica, come giudicherebbe un’alleanza di governo tra Lega e cinquestelle?

La loro impostazione è quanto più distante dalle mie convinzioni, perché rappresenta un populismo becero che strizza l’occhio a modelli di democrazia che non mi sono vicini. Ma proprio perché ho un profondo rispetto per la democrazia occidentale e la difendo, dal 5 marzo sono profondamente convinto che a loro spetti l’onere e l’onore di governare, perché tale è il risultato politico della consultazione elettorale. E in democrazia si fa così.

Tra i dem sembra ci siano due distinte visioni sulle possibili alleanze. Matteo Orfini ha confermato il suo no mentre Dario Franceschini su Repubblica oggi ha detto che bisogna comunque parlare. Lei che ne pensa?

Hanno ragione tutti e due. Penso che occorra parlare – come dice Franceschini – e sottolineare le profonde e inconciliabili diversità programmatiche, come dice Orfini.

Pensa o teme che quello dei cinquestelle possa essere solo un bluff per alzare la posta nel rapporto con la Lega?

Potrebbe anche essere, ma mi faccio una domanda. La “catena di comando” del Pd è chiara, anche nel suo caotico pluralismo: decide la Direzione nazionale, e dal giorno dopo quelli che non sono d’accordo cominciano a fare le interviste contro le posizioni assunte (e spesso da loro votate). Quella di Forza Italia, da un quarto di secolo, è altrettanto chiara: decide Silvio Berlusconi. Ma chi decide davvero nel M5S? Quali sono le stanze (e chi c’è dentro) in cui in questa fase così cruciale vengono prese le decisioni strategiche su alleanze e proposte di governo? Il fatto che una domanda del genere non abbia risposta fa suonare un campanello d’allarme per quanto riguarda la qualità della nostra democrazia.

Quali sono i punti programmatici che, a suo modo di vedere, il Pd ritiene imprescindibili? Perché non li mettete anche voi per iscritto in modo da dare a ogni eventuale discussione una solida base di merito?

Lo abbiamo già fatto, il segretario Martina ha più volte esplicitato i tre punti che riteniamo fondamentali per continuare a risolvere i problemi più pressanti degli italiani: povertà (raddoppio delle risorse per il reddito di inclusione), famiglie (riforma delle detrazioni Irpef per le famiglie con figli) e lavoro (continuare a ridurre il peso dei contributi previdenziali per favorire le assunzioni a tempo indeterminato). Poi ce ne sarebbero tanti altri. Senza volermi assumere prerogative non mie, mi consenta di segnalarne uno a cui tengo molto. L’anno prossimo la legge delega sul Federalismo (la numero 42 del 2009) compirà 10 anni, senza essere mai stata compiutamente attuata. È in grado il sistema politico di immaginare, in occasione di quel “compleanno”, una nuova legge delega che realizzi finalmente quel federalismo fiscale che in Italia non abbiamo mai avuto? Non tragga in inganno il calendario: per fare quella riforma nel 2019, dobbiamo iniziare a lavorare subito. Perché far politica significa lavorare con serietà, metodo e tempo. Non con l’improvvisazione.

Ha sentito o visto Matteo Renzi negli ultimi giorni? Quali le sono parsi i suoi orientamenti sull’attuale fase politica?

Certo. Ho letto un articolo in cui alcuni tifosi della Fiorentina suggerivano uno scarso impegno nel match di domenica contro il Napoli, per non correre il rischio di favorire la Juve nella corsa scudetto. Allora ho voluto sincerarmi che almeno lui la pensasse diversamente.

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