Oscar Giannino qualche giorno fa su Twitter, all’indomani della presentazione dei nuovi dati sull’immigrazione, che parlano di una riduzione del 70% degli sbarchi sulle nostre coste in questo primo trimestre del 2018, si chiedeva per quale motivo il Partito Democratico non avesse puntato di più su Marco Minniti durante la campagna elettorale. Una domanda non banale, che forse agita il sonno di qualche dirigente democratico in questo primo scorcio di legislatura. Quel che è certo è che il ministro dell’Interno, anche alla luce delle sue ultime esternazioni pubbliche, sembra l’ideale figura di compromesso tra il governo che è stato e il governo che potrebbe essere. Il perfetto trade-union tra passato e futuro.
Minniti negli ultimi giorni, con due diverse interviste a La Stampa e a Il Giornale, e poi con la sua posizione sullo “sconfinamento” francese alla frontiera di Bardonecchia, ha suggellato un modo di intendere la sicurezza e la gestione dei flussi migratori che non è attaccabile né dal Movimento 5 Stelle, né dal centrodestra. Il titolare del Viminale ha posto al centro del dibattito pubblico due punti fondamentali della proposta elettorale “giallo-verde”. In primio luogo ha messo in guardia tutti dal pericolo jihadista, invitando a non abbassare la soglia di attenzione, soprattutto dopo la caduta di Raqqa, città dalla quale i foreign fighters potrebbero fuggire tentando di venire in Europa, dove potrebbero agire da “cani sciolti”. In secondo luogo, richiamando analoghi allarmi della Lega di Salvini, ha ammesso che proprio chi è in fuga dallo Stato islamico potrebbe scegliere di “mimetizzarsi” tra i migranti che cercano di arrivare in Italia sui barconi dei trafficanti di uomini.
“Se un anno fa mi aveste chiesto se è possibile che questi soggetti si mischino coi flussi dei migranti avrei risposto ‘no’ – ha spiegato a Chiara Giannini de Il Giornale – perché un anno fa questi gruppi sarebbero stati degli assetti nobili (combattenti, ndr) di Is e tu un assetto nobile non lo mandi in Europa con i rischi dei flussi migratori. Dal momento che la fuga è individuale viene lecito pensare che la via migliore sia quella di una rotta già aperta, quella dei trafficanti di esseri umani”.
Infine, recentissimamente è arrivata la durissima presa di posizione di Minniti sullo sconfinamento dei gendarmi francesi a Bardonecchia. Una posizione chiarissima, che non ha nulla da invidiare per nettezza a quella di Matteo Salvini, per esempio. Il ministro, in concerto con il governo e con il presidente Gentiloni, ha vietato gli sconfinamenti agli agenti transalpini senza approvazione preventiva del nostro ministero dell’Interno. La mossa del titolare del Viminale non solo è stata condivisa da tutto il governo, ma è sostanzialmente stata approvata e sottoscritta dagli azionisti di maggioranza del probabile governo giallo-verde, anticipandone in qualche modo le mosse.
In realtà, Cinquestelle e centrodestra da oltre un anno, pubblicamente e privatamente, riconoscono all’attuale titolare del Viminale la capacità di aver saputo gestire i flussi migratori come non era mai accaduto prima. Se Matteo Salvini lo definiva “il meno peggio” già a luglio 2017, tanto da arrivare a dire che sostanzialmente Minniti ha fatto quello che la Lega chiedeva da anni. Sul fronte del movimento cinque stelle dddirittura si mormorava che la sindaca di Roma Virginia Raggi all’indomani dello sgomberò di Piazza Indipendenza a metà agosto, stoppò un post sul blog di Grillo contro il governo sulla gestione dell’immigrazione, proprio perché consapevole che quell’attacco contro Minniti non avrebbe portato alcun vantaggio al Movimento 5 Stelle.
Apprezzato nel centrodestra, Minniti, paradossalmente, sembra vivere un momento più difficile nel suo campo di gioco: criticatissimo dalla sinistra radicale, che gli rimprovera l’accordo con la Libia, in difficoltà con alcuni dirigenti del suo stesso partito, anche con l’ex premier Matteo Renzi i periodi d’incomprensione non sono mancati. Pessimo il suo rapporto con Emma Bonino, leader di Più Europa, con la quale ha una visione del tutto differente della gestione dei flussi migratori. I più accorti lo ricordano infuriato al Lingotto di Torino, esattamente 12 mesi fa, proprio durante l’intervento della leader radicale. Cresciuto con Massimo D’Alema (era uno dei cosiddetti Lothar), Minniti si è poi avvicinato a Walter Veltroni nel momento della costituzione del Pd, tanto da diventare ministro del governo ombra dei democratici.
La leggenda vuole che Fassino scelse proprio lui la sera delle elezioni del 2006 per andare dall’allora ministro dell’Interno Giuseppe Pisanu per accertarsi che la volata finale all’ultimo voto tra l’Unione e la Casa delle Libertà fosse la più regolare possibile.
Fabrizio Rondolino, suo compagno di viaggio durante il governo di Massimo D’Alema lo descrive come una persona “sicuramente seria, con una grande passione per tutto ciò che concerne gli apparati di pubblica sicurezza, di cui è un gran conoscitore. Lo definirei un po’ un secchione – scherza – uno che non si risparmia. È un ottimo politico, ma come ministro degli Interni può essere considerato anche un ottimo tecnico; da vecchio comunista ne riconosco i tratti del grande quadro politico. Quando disse che sicurezza è una parola di sinistra ha detto una cosa che avrebbe potuto dire Togliatti, da vecchio comunista. Quando hai un problema lo devi risolvere prima che lo faccia la destra”.
Sul Minniti Trait d’union tra il governo attuale e le politiche migratorie di un ipotetico esecutivo centrodestra-M5S, Rondolino però tira il freno: “Non credo che Minniti abbia fatto una politica di destra. È riuscito nelle condizioni date a mettere insieme solidarietà e sicurezza. Non ha praticato i respingimenti, ha fatto un accordo con la Libia. Io la definirei una politica del buon senso; non tutti possono venire qui in Italia, e quelli che vengono nel nostro Paese devono essere gestiti in maniera più equilibrata, quindi vanno distribuiti in maniera più equilibrata sul territorio”. Una politica, quella del buon senso, che in una fase che potrebbe preludere ad una nuova campagna elettorale secondo Rondolino potrebbe non bastare alla Lega: “Salvini &Co. in caso si dovesse tornare preso alle urne preferirebbero una politica più muscolare. Io credo che Salvini in realtà reciti la parte della Le Pen, perché gli è servito per trasformare la Lega in un partito nazionale. Ma lui è leghista, quindi un pragmatico, non dimentichiamoci che la Lega ha governato in moltissimi casi e in molte regioni, selezionando una classe dirigente diffusa e pragmatica. Sono persuaso che alla prova del governo Salvini si mostrerebbe più equilibrato di quanto non ci appaia oggi”. Difficile, invece, immaginare Marco Minniti presidente del Consiglio di un governo del Presidente, poiché “è il dirigente del Pd, un partito comunque sconfitto, ma di questo tipo di governo sarebbe senza dubbio il ministro dell’Interno perfetto”.