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La santità non è in esclusiva. Perché leggere Papa Francesco e la sua esortazione

papa

È uscita l’attesa nuova Esortazione Apostolica di papa Francesco. Il tema è accattivante, e lo è ancora di più se collegato al titolo pieno di fecondo ottimismo: Gaudete et exultate.

L’esortazione si concentra sulla nozione costitutiva del Cristianesimo, vale a dire quella di “santità personale”. È noto che l’universalità del Cattolicesimo sta proprio nel fatto che la fede in Gesù Cristo è aperta a tutti, ed è rivolta a tutti: quindi essa deve aprire a un progetto soprannaturale di santificazione possibile non riservato, compatibile con il contesto condiviso in cui ciascuno si trova ad essere calato dalla vita.

Nella prima parte, il Santo Padre rimarca, infatti, proprio il portato umanamente generale della “chiamata alla santità”, contrassegno di una prospettiva esistenziale sociale in grado di coniugarsi in modo significativo e qualificante in senso massimo con qualsiasi condizione e situazione storica e culturale vivibile. Quindi una santità non solo adattabile ma addirittura indissociabile con lo stato di vita reale e concreta che ogni persona è chiamata a conseguire, nei limiti imposti e nella prospettiva aperta dai propri doveri specifici: laici, religiosi o sacerdotali.

La Chiesa, pertanto, è universale e si fonda sui santi, ossia su coloro che hanno identificato in passato la propria vita con Cristo e che possono illuminare oggi chi vuole vivere la propria vita con Cristo. Di qui il legame tra santità e comunità; di qui il legame tra santità e lotta: impegno certamente controcorrente, che va attuato navigando sempre nella stessa acqua dove vivono gli altri “pesci”.

Il papa, nelle dense pagine dell’Esortazione, non fa sconti e non crea alibi di facilità. Essere santi è più di un lavoro, è più di un impegno sociale filantropico, è una vocazione sovraumana totale di risposta alla misericordiosa irradiazione della grazia divina, un incontro permanente in grado di elevare spiritualmente e di ispirare interiormente l’azione del credente dal profondo del suo essere, attraversando così il tempo e penetrando, mediante le sue azioni, nella natura stessa del mondo creato.

Molti nemici si oppongono però all’adempiere e al realizzare il cammino umano verso la felicità celeste. Rifacendosi alla grande tradizione Patristica, Francesco individua due costanti tentazioni storiche, che tornano con forza dirompente anche oggi: lo gnosticismo e il pelagianesimo.

La prima attitudine è ad identificare la fede non con una verità ricevuta dall’amore di Dio, ma costruita dalla sola conoscenza umana. Si tratta di quella pressione alla soggettivazione intellettualistica, matrice prima del Protestantesimo razionalistico e della svolta neo-modernista contemporanea. Nell’antichità lo gnosticismo era soprattutto annodato ad una fede fai da te. Oggi è coniugato prevalentemente con una cristianità concepita in proprio e senza legami al trascendente. Il papa osserva quanto questo gnosticismo diventi foriero di superbia, di egocentrismo e quindi di perdita del valore fisso dell’obbedienza a Dio e dell’umile assecondare se stesso a ciò che rivela di volta in volta lo Spirito, la volontà divina, per il bene degli altri.

La seconda tendenza, quella pelagiana, adempie e prosegue la prima. Adesso non è più l’intelletto ma la volontà ad ergersi a padrona di tutto. Di qui viene l’iperattivismo, la soluzione in termini puramente immanentistici della santità, dissolvendo nell’Io voglio muscolare il tutto umano e sociale. La fede, contrariamente, è un assecondare nell’abbandono impegnato a Dio la propria libertà, connettendola all’azione preveniente e sollecitante dello Spirito Santo, unico vero autore e attore della santità personale.

Il cammino di fede del Cristianesimo non è l’acquisizione di un potere supplementare a quello che ognuno ha, ma la rinuncia a vedere in termini esclusivamente mondani, terreni e individualisti il proprio destino. Nessuno si fa da solo. Nessuno si santifica per natura. Dio santifica la natura umana grazie alla libertà personale che può decidere di fare entrare Cristo nella vita interiore ed esteriore.

Il papa non manca di sottolineare, in ultimo, il terzo grande male: l’ideologismo. Si tratta della sbagliata idea di sostenere un Cristianesimo dottrinale svuotato di mistero, nel quale la fede stessa diventa creatrice della Verità divina, e non, come deve essere, la Verità divina potenza fondatrice e giustificatrice della fede nell’amore.

Significative sono le parole dell’Esortazione a questo riguardo: “Nocivo e ideologico è l’errore di quanti vivono diffidando dell’impegno sociale degli altri, considerandolo qualcosa di superficiale, mondano, secolarizzato, immanentista, comunista, populista. O lo relativizzano come se ci fossero altre cose più importanti o come se interessasse solo una determinata etica o una ragione che essi difendono” (101).

La ricetta autentica sta nella difesa della vita, contro ogni sua negazione o travisamento: contro l’aborto, che cancella nell’omicidio iniziale, l’esistenza stessa di un’altra persona, per finire al disprezzo per i poveri e i malati, i quali sono esattamente coloro che rischiano sempre di essere vittime della logica dello scarto, prodotta dall’esclusiva ossessione della volontà di potenza.

La santità universale, per papa Francesco, è servizio alla vita come manifestazione di carità verso Dio creatore. E mai tale missione eterna può darsi, dunque, senza uomo, senza tempo, senza sacrificio e senza che la fede dissolva in Dio l’egoismo che disprezza e annega nel peccato la propria vita e quella del prossimo.



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