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A chi chiede consiglio il direttore uscente della Cia e candidato Segretario di Stato per Trump? A Hillary Clinton

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“Capisce il peso dell’incarico”, un intimo di Mike Pompeo spiega così a Politico il motivo che sta muovendo l’ex direttore della Cia a intrattenere cordiali, lunghe, interessate, conversazioni in vista del suo prossimo incarico, quello di segretario di Stato, quasi con chiunque abbia bazzicato il dipartimento. Niente di strano, se non fosse che tra gli interlocutori principali di Pompeo ci sono i suoi più recenti predecessori, ossia John Kerry e Hillary Clinton.

A colpire non è tanto che Pompeo tenga relazioni con i due leader democratici: la ragion di stato per gli americani vale più degli schieramenti politici, ed è per questo che negli anni, cambiando colore del governo, non è troppo cambiato il ruolo statunitense nel mondo. Ma è proprio il fatto che Pompeo, in teoria, farebbe parte di quel circolo ristretto di politici che vorrebbero rivedere in larga parte quel ruolo americano.

Il presidente Donald Trump, che teoricamente si professa come una specie di nazionalista al limite dell’isolazionismo, considera Pompeo un alleato fidato nel delicato equilibrio dell’amministrazione, ed è per questo che lo ha scelto per sostituire Rex Tillerson, l’ex segretario che seguiva una linea certamente più ponderata delle reazioni a tratti istintive del Prez (incastrato tra la compostezza sull’asse classico repubblicano e la volontà di rivoluzione trumpiana, Tillerson era velocemente entrato in stallo rendendo il dipartimento una macchina lenta e piena di lamentele).

Pompeo è considerato un falco, con visioni molto dure nei confronti dell’Iran (questo piace a Trump); aperto al dialogo con gli alleati del Golfo (pure questo piace a Trump, che vede nello star vicino alle istanze dei sauditi, soprattuto, un’occasione per rafforzare la business relation); durissimo con l’Islam radicale, ma accusato di aver traslato questa visione in islamofobia (e questo piace meno ai Saud, ma abbastanza al popolo trumpiano); piuttosto severo nei confronti delle Russia (questo in teoria piace meno al presidente). In definitiva, allineato su una posizione intermedia tra Trump e l’ala più estrema, ma classicheggiante, del partito.

Però l’ex direttore sa che giovedì dovrà finire sulla graticola della Commissione per le Relazioni estere del Senato, che lo intervisterà per valutarne la bontà della scelta. L’audition si prospetta complicata: la Commissione è aspramente divisa – 11 a 10 in favore dei repubblicani, dunque maggioranza strettissima – e Pompeo sa che tenere un’interlocuzione aperta con i suoi predecessori democratici non passerà di certo come una sua inversione di rotta, ma potrebbe aiutarlo ad affrontare domande meno tossiche.

“Non è una conversione”, spiega Politico, ma il futuro segretario si sta anche preparando ad affrontare le beghe che avrà davanti una volta in office. Su tutte: gestire il ménage giornaliero senza il rischio di schiacciarsi troppo sul suo personale (come forse fatto da Tillerson, con risultati però pessimi), dato che il presidente non ama buona parte del corpo diplomatico di cui è composto il dipartimento di Foggy Bottom – per Trump è luogo di costosi sofismi, mentre perché “L’artista del deal” si ritiene perfettamente in grado di gestire da solo la sostanza delle relazioni internazionali che contano.

I democratici temono che le visioni di Pompeo e la sua volontà di compiacere Trump possano portarlo a farsi sponda su alcune delle linee più infuocate; lunedì il Center for American Progress, think tank liberal, l’ha definito “too hawkish too extreme”, troppo falco e troppo estremo per l’incarico. Preoccupazione principale, vista la scadenza imminente delle deadline fissata dallo stesso Trump a maggio, è l’accordo sul nucleare iraniano: Pompeo, come detto, è un falco anti-ayatollah e i Dem temono che la sua posizione possa sommarsi a quella della Casa Bianca e cancellare lo sforzo fatto dall’amministrazione Obama con Teheran.

Su questo, i contatti con Kerry saranno sicuramente scintillanti, visto che l’ex segretario ha speso molto del suo mandato nella costruzione del deal multilaterale; è stato il volto obamiano dell’accordo. Pompeo è uno che ha chiesto un regime change in Iran, Kerry è uno che ha costruito un rapporto praticamente personale con Javad Zarif, il suo omologo iraniano, e ha permesso la riapertura del mercato a Teheran. E che dire delle richieste d’aiuto  – accettate, a quanto pare – fatte a Hillary? Pompeo non ha esitato a incolpare Clinton per l’uccisione dei tre diplomatici americani al consolato di Bengasi nel 2012, giocando a infiammare il sentimento popolare su quella pagina triste della storia americana (fatta passare come una conseguenza dell’inettitudine democratica anche attraverso ricostruzioni fallaci dai più aggressivi tra i Rep).

Il punto è quanto queste sue visioni estreme pesino sull’approvazione congressuale. A questo si devono i contatti con Kerry e Clinton, così come gli incontri diretti con tutti i membri della commissione a cominciare dal leader democratico Robert Menendez, e il capo dell’opposizione alla camera alta Chuck Schumer. “Non darà per scontato un singolo voto e sta lavorando per risolvere qualsiasi problema o preoccupazione anche dei senatori più di sinistra. Il fallimento non è un’opzione per Mike”, ha detto la fonte di Politico, però Bernie Sanders, l’icona attuale della sinistra più radical americana, ha già detto che non lo voterà, e non è per niente certo che il nuovo passaggio in Senato possa ricalcare quello con cui fu confermato alla testa della Cia (quando il suo nome chiuse 66-32 per i favorevoli).

Sarà proprio su quelle visioni troppo hawkish ruoterà lo scontro: lì i democratici giocheranno le loro carte per mettere in difficoltà Pompeo. E c’è da giurarci che un altro argomento su cui i senatori della commissione incalzeranno sarà la Siria – lo ha già annunciato domenica proprio Menendez. Sintesi di una possibile domanda: come si sovrappone la volontà di Trump di abbandonare il paese con i massacri chimici di questi giorni, la necessità di mantenere il punto con Russia e Iran (e Damasco) e la promessa presidenziale di far pagare a Bashar el Assad un prezzo carissimo per le sue malefatte? (Risposta logica praticamente impossibile: ma Pompeo dovrà essere bravo a traccheggiare, mostrandosi rassicurante).

 

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