Sì a forme di ‘distributed ledger technology’, come ad esempio la blockchain. No (almeno, per ora) a ‘criptoattività’ come il Bitcoin, che comportano ancora numerosi rischi per gli investitori e, in prospettiva, per la stabilità finanziaria. L’allarme giunge da Banca d’Italia nel primo Rapporto sulla stabilità finanziaria del 2018, che fa il punto su uno degli argomenti più dibattuti in campo economico-finanziario e tecnologico.
I RISCHI DELLE CRIPTOATTIVITÀ
“Sebbene la distributed ledger technology (una sorta di libro mastro condiviso, un insieme pubblico o privato di informazioni digitali sincronizzate e geograficamente distribuite in più Paesi, siti o istituzioni, senza che esista un amministratore o una gestione centralizzata dei dati, ndr) possa portare benefici all’economia (ad esempio se applicata alle attività di compensazione e regolamento degli acquisti di titoli finanziari), le criptoattività (dette anche cryptoassets) comportano numerosi rischi, in primo luogo per gli investitori che possono incorrere in perdite rilevanti”. Rischi che “potrebbero avere implicazioni per la stabilità del sistema finanziario qualora la dimensione del mercato delle criptoattività diventasse significativa o gli intermediari finanziari acquisissero esposizioni verso queste attività, che li esporrebbero anche a rischi reputazionali”.
L’ALLARME DI BANKITALIA
Bankitalia “scoraggia gli intermediari finanziari dall’acquistare, vendere e detenere criptoattività” (ovvero attività di natura digitale il cui trasferimento è basato sull’uso della crittografia e sulla distributed ledger technology) e ha pubblicato un’avvertenza sui principali rischi, per i piccoli investitori e i consumatori, derivanti dal loro utilizzo. Un alert diffuso in modo analogo dalle tre autorità finanziarie europee: l’Autorità bancaria europea (Eba), l’Autorità europea degli strumenti finanziari e dei mercati (Esma) e l’Autorità europea delle assicurazioni e delle pensioni (Eiopa).
MERCATO IN ESPANSIONE
“La dimensione del mercato mondiale delle criptoattività”, avverte l’istituto, “è assai ridotta, ma negli ultimi anni è aumentata in misura notevole”. Dall’inizio del 2017, si rileva nel report, “si stima che il numero di tali criptoattività (alcune di esse, quali il Bitcoin, rileva Bankitalia, vengono comunemente chiamate valute virtuali, anche se non svolgono le funzioni economiche della moneta) sia più che triplicato, passando da circa 500 a oltre 1600, e il loro controvalore più che raddoppiato, raggiungendo circa 310 miliardi di euro, un importo comunque inferiore allo 0,5% della capitalizzazione delle borse a livello globale. Quasi la metà del controvalore complessivo delle criptoattività è costituita da Bitcoin”. E, si rimarca ancora, “anche in Italia hanno iniziato a operare diverse piattaforme online attraverso cui è possibile acquistare e vendere queste attività”.
I LIMITI TECNOLOGICI
Attualmente, secondo Bankitalia, attualmente “limiti di natura tecnologica contribuiscono a rendere inefficiente l’utilizzo delle criptoattività come strumenti di pagamento”. Inoltre, dice il documento, “l’uso nei pagamenti all’ingrosso è ostacolato dall’incertezza sui costi associati alla singola transazione e sui tempi di esecuzione. Il numero di pagamenti al dettaglio che si possono eseguire attraverso queste attività è notevolmente inferiore a quello tipicamente effettuato mediante gli altri sistemi di pagamento. Bitcoincash, una criptoattività sviluppata appositamente per consentire un numero elevato di transazioni, permette di compiere circa 60 operazioni al secondo mentre un circuito di carte di pagamento tradizionale può eseguirne normalmente circa 2mila e superare le 50mila. L’estrema volatilità dei prezzi non rende conveniente l’utilizzo di queste attività neanche come riserva di valore e unità di conto”.