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Vigore e azione di Sergio Mattarella contro la frammentazione nazionale

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La politica, quando non tratta dei principi, è il campo del relativo, del possibile, del contingente. Mentre tuttavia uno degli aspetti che più preoccupava la filosofia classica era evitare o attenuare la frammentazione e il caos (un tempo si sarebbe detto l’anarchia), ossia la carenza di unità dello Stato; la democrazia consiste nella fede opposta che l’ordine non debba eliminare con il disordine anche la libertà e la pluralità di interessi, e la frammentazione possa essere riorganizzata razionalmente dalle parti in gioco, nell’interesse della nazione e per il bene comune.

Sappiamo ampiamente che non esiste in questo momento alcuna palingenesi alle porte. È evidente a tutti cioè che non sarà possibile stasera avere una quadra, uno sbocco che rubrichi la giornata delle consultazioni odierne ad un passaggio chiave e risolutivo. Non sta qui ed ora, insomma, la soluzione dell’enigma.

D’altronde, quasi tutti i giornali di oggi si concentrano, a giusta posa, sui divergenti e incrociati legami, e sui veti reciproci e asimmetrici, che impediscono di giungere, nel breve, ad una valevole maggioranza di Governo. Se lo facessimo anche noi, finiremmo di sicuro come Bruno Vespa a riempire di inchiostro un pezzo di carta, dove emergerebbero unicamente degli sfondi inestricabili, farraginosi, fragili, come quelli visti ieri in Tv. Da premesse di compromesso, d’altra parte, non provengono che conseguenze fiacche, che siano esito di un contratto alla tedesca o di un accordo all’italiana.

In tutta questa intricata vicenda, converrebbe soffermarsi però un momento sulla nostra Costituzione. Infatti, se è vero che il capo dello Stato ha tenuto finora un profilo defilato, il Presidente non è né un banale notaio, né un mero accessorio legislativo.

Intanto perché il ruolo che Sergio Mattarella ricopre è elettivo. Sebbene, infatti, la procedura di selezione non preveda il suffragio universale, l’inquilino del Colle è espressione della democrazia nel senso più alto e generale del termine. Per capirsi, non si arriva al Quirinale per concorso o per carriera amministrativa ma per indiretta e precisa emanazione popolare.

È per questo che la funzione presidenziale attribuisce alla persona ampi poteri sulla formazione del governo. Non ci dimentichiamo che il presidente del Consiglio è “Segretario di Stato” (nella vecchia denominazione Albertina), in seguito restata in quella dei “Sottosegretari”. Dunque, la via di uscita dalla disseminazione in atto del consenso non è nel Parlamento diviso, ma principalmente nella funzione politica del capo dello Stato.

Come Mattarella interpreterà queste sue prerogative democratiche e costituzionali non è ancora chiaro. Anche se quel poco che si dice è che lui e soltanto lui deciderà se, come, in che misura uscire dalla crisi e, soprattutto, quando farlo.

Senz’altro su alcuni punti programmatici non vi sarà discussione per chiunque andrà a Palazzo Chigi: l’orientamento europeo del Paese, la tutela dei conti pubblici e un esecutivo ragionevole e senza scadenza (peraltro non prevista dalla legge italiana). Al Parlamento, semmai, sta decidere quanto farlo durare e se legittimarlo, ma non nominarlo né tanto meno farlo giurare. Comunque, non necessariamente e non arbitrariamente, e mai mandandogli per posta la lista dei ministri.

Il punto cruciale è che il nostro sistema presuppone maggiormente la frammentazione piuttosto che l’omogeneità, e ipotizza queste difficoltà molto più di quanto non si pensi. È in ciò il principale motivo valido, lo è stato certamente per me, per cui gli italiani hanno votato No al referendum voluto da Matteo Renzi due anni fa per cambiare la Costituzione. Come scrissi allora su Formiche.net, si può avere un sistema presidenziale o parlamentare, ma non un sistema in cui il Parlamento è ridotto a “gabinetto del Governo”. Il potere legislativo deve essere comunque plurale: e per questo il primo ministro lo nomina il presidente della Repubblica, rappresentante supremo della sovranità popolare.

Mattarella, ad ogni buon conto, non farà da spettatore, non sarà passiva cassa di risonanza di quanto avviene sotto di lui, ma anzi compirà il dovere morale, politico e istituzionale che gli spetta di creare un governo che possa avere la maggioranza alla Camera e al Senato, ben al di fuori del bailamme in cui siamo calati dal 4 di marzo. Se non dovesse riuscire l’impresa, d’altronde, il fallimento sarebbe proprio suo, con una piccola clausola aggiuntiva: mentre le alchimie e gli accordi tra partiti e coalizioni implicano dei rischi logici, ad esempio il tradimento del parziale consenso ricevuto alle urne, il presidente può viceversa agire con una diversa libertà, data e concessa dalla corretta e adeguata percezione dell’essenza personale, generale e superiore della propria figura politica rispetto agli interessi particolari in gioco.

Il presidente della Repubblica Italiana, in definitiva, svolge sì un ruolo di garanzia contro la frammentazione parlamentare, ma non un incarico di sola garanzia davanti alla frammentazione del Paese. Rappresentando l’unità della nazione, egli non solo può, ma deve far valere la sintesi unitaria in un governo con la fiducia del Parlamento, ben oltre la forza dei relativi gruppi politici.

Alla fine, l’Italia si attende adesso vigore e azione da Mattarella; e si può essere certi che egli farà valere questa sua importante qualità democratica, guidando il Paese fuori dal guado con la sua intelligenza, prudenza, volontà e decisione.


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