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La sicurezza energetica dell’Italia? Garantita dal buon mix (e dai gasdotti)

tap, Tav nord stream

Con il prezzo del petrolio attorno ai 65 dollari al barile, il nuovo scontro diplomatico fra occidente e Russia ed una congiuntura politica interna tutt’altro che semplice, si rincorrono voci preoccupate per la sicurezza energetica dell’Italia. Spesso queste voci sembrano più concentrate sull’obiettivo di creare allarme che sulla necessità di analizzare dati concreti. Proviamo a partire da questi ultimi incrociando i dati Eni, della IEA e del Ministero per lo Sviluppo Economico e aggiungendo quelli della International Renewable Energy Agency.

L’Unione Europea è il più grande importatore di energia al mondo: spende 400 miliardi di Euro all’anno per comprare dall’estero più della metà dell’energia che consuma. E anche l’Italia fa la sua parte: è il più grande importatore di energia elettrica al mondo. Acquista il 15% della propria elettricità e la quota di maggioranza arriva proprio dal nucleare francese.

Secondo gli ultimi dati disponibili, nel 2016 l’Italia ha consumato 1.27 milioni di barili di petrolio al giorno, pari a un consumo annuale di quasi otto barili per ogni cittadino, esattamente come nei tre anni precedenti. Nello stesso periodo, il nostro Paese ne ha prodotti 74 mila al giorno (meno del 6% del consumo) attingendo alle riserve nostrane stimate in 572 milioni di barili. A questo ritmo di estrazione, le riserve potranno durare 21 anni, più a lungo dei 10 anni stimati complessivamente per l’intera Europa. Il petrolio estratto qui è stato utilizzato per la maggior parte per far fronte ai consumi interni mentre sono stati venduti all’estero solo 12 mila barili al giorno. Dall’estero, invece, abbiamo dovuto importare 1.22 milioni di barili di petrolio al giorno.

Passando al gas, nel 2016 abbiamo consumato 69 miliardi di m3. Poco più di 3 m3 al giorno per ogni italiano. Ne abbiamo invece estratti 5,8 miliardi di m3 – soprattutto dall’Adriatico – dedicandoli quasi completamente al consumo interno ed esportandone solo 210 milioni di m3. A questi ritmi, le riserve nazionali stimate potranno durare 7 anni, mentre quelle complessive europee dovrebbero durarne 18. In caso di guai, possiamo comunque contare su 12 miliardi di m3 di gas stoccati principalmente in giacimenti esauriti, che salgono a 17 miliardi con le riserve strategiche.

Dall’estero, abbiamo dovuto importare complessivamente 63,8 miliardi di m3: quasi il 6% dell’intero commercio di gas mondiale nel 2016. Questo ci mantiene al quinto posto assoluto nella classifica dei maggiori importatori, dopo Giappone, Germania, Usa e Cina ma prima di Francia, Gran Bretagna e Corea del Sud. Interessante individuare la provenienza del gas che abbiamo consumato. La maggior parte è arrivata nello stivale via gasdotto (59,33 miliardi di m3), 5,91 via nave come gas naturale liquefatto, e 17,44 sono passati sia dai tubi che per la liquefazione.

La Russia – lungo i gasdotti – ci ha venduto 26,8 miliardi di m3 , l’Algeria 19,1, Olanda, Norvegia ed altri paesi del mare del Nord ce ne hanno inviato 8,2. Dalla Libia – a causa della instabilità che dura ormai da otto anni – sono arrivati solo 4,8 miliardi di m3 mentre la Croazia ce ne ha passati 0,4. Via nave come gas liquefatto il Qatar ci ha venduto 5,5 miliardi mentre l’Algeria e altri Paesi africani ne hanno scaricati 0,4. Ma il quadro energetico dello Stivale si illumina analizzando la produzione di energia rinnovabile.

L’Italia, con oltre 22,9 TWh immessi in rete nel 2016, ha raggiunto la quinta posizione mondiale nella produzione di energia elettrica dal fotovoltaico dopo Cina, Germania, Giappone e Usa ma davanti a Spagna, Gran Bretagna e Francia. Ben il 9,3% dell’energia prodotta al mondo coi pannelli solari batte bandiera tricolore.

Il solare termico a concentrazione ha dato un contributo modesto al bilancio energetico nostrano, soprattutto se confrontato a quello spagnolo che, con una insolazione simile alla nostra, ha prodotto 5,5 TWh raggiungendo da sola quasi la metà della produzione mondiale con specchi parabolici. In compenso, nel Belpaese tira una bella aria, visto che con le pale eoliche siamo riusciti a generare 17,6 TWh entrando nella top ten dei dieci Paesi più eolici del mondo. Tirando le somme con i dati del Gestore dei Servizi Elettrici, nel 2017 l’Italia ha prodotto da fonti rinnovabili 22 Mtep (milioni di tonnellate equivalenti di petrolio). Ogni dieci lampadine accese sul territorio nazionale, quasi due (il 18%) si illuminano oggi grazie a fonti rinnovabili.

Nonostante il balzo in avanti, le fonti rinnovabili sono ancora assolutamente insufficienti a soddisfare il fabbisogno energetico italiano e lo rimarranno ancora per anni. Per garantire una transizione efficace fra le fonti fossili e le future fonti rinnovabili, occorre puntare sul gas naturale sostituendolo progressivamente agli altri combustibili fossili più inquinanti. Entro il 2025 l’Italia si è posta l’obiettivo di chiudere definitivamente la produzione di energia elettrica da carbone, la fonte fossile di gran lunga più dannosa per l’ambiente. Il fabbisogno energetico dovrà essere soddisfatto con il gas e garantito dalla diversificazione delle importazioni.

Oggi il gas che bruciamo per scaldarci, muoverci, illuminarci e fare andare avanti l’industria viene dal gasdotto TAG (quello che era stato chiuso durante l’incidente nella centrale di Baumgarten) con una capacità di 107 milioni di m3/giorno, TRANSITGAS da 59 milioni di m3/g, TTPC (Trans Tunisian Pipeline Company) per 108 milioni di m3/g, GREENSTREAM con 46,7 milioni di m3/g. Ci sono poi i terminali di rigassificazione di Panigaglia della società GNL Italia con una capacità di rigassificazione pari a 13 milioni di m3/g; quello al largo di Rovigo della società Adriatic LNG da 26,4 milioni di di m3/g e il terminale OLT al largo di Livorno, della società OLT Offshore LNG Toscana, da 15 milioni di di m3/g.

La chiusura definitiva delle centrali elettriche a carbone e la loro sostituzione con quelle a gas rappresenterebbe un vantaggio decisivo nel processo di decarbonizzazione e di difesa dell’ambiente previsto dall’Accordo di Parigi sul clima già ratificato da 195 Paesi. Non solo. Anche in futuro le moderne centrali a gas potranno essere impiegate in combinazione con le energie rinnovabili per compensare le oscillazioni stagionali e giornaliere della domanda di energia con la discontinuità di produzione di energia caratteristica delle fonti rinnovabili.

Per questo il via libera al gasdotto TAP (costruito non a spese nostre ma di chi ci vende il gas) e di Eastmed – che ci porterà gas da Israele – ci permetteranno una ulteriore diversificazione delle fonti e una minore dipendenza dai capricci o dai problemi dei Paesi che producono gas o che ne ospitano i gasdotti.

Articolo pubblicato su EniDay


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