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Dopo i raid in Siria ora va in scena l’info-war russa. Non meno pericolosa

mediterraneo daghestan, Russia, Putin

Secondo il Pentagono, la risposta russa al raid congiunto di Stati Uniti, Francia e Gran Bretagna, sarà l’intensificarsi delle attività di disinformazione con una campagna specifica. Già avviata, c’è da aggiungere, manipolando i risultati dell’attacco per controllare le percezioni del pubblico.

Sabato, Dana White, la portavoce del Pentagono, ha detto in conferenza stampa che gli analisti del Cyber Command hanno registrato un aumento del 2000 per cento nelle attività di trolling russe dopo l’attacco coordinato. La diffusione di contenuti divisivi e i metodi con cui infiammarli in rete, in modo da farli diventare virali, sono un argomento noto — al centro delle operazioni di interferenza durante le presidenziali statunitensi, per dire — che rappresenta il più delicato warfare del futuro.

Un esempio: programma di notizie “Vesti” della televisione statale Rossiya-1 ha pubblicato un servizio con cui avrebbe voluto dimostrare che gli White Helmets hanno organizzato un set cinematografico in cui creare il falso attacco chimico a Douma. Ma le immagini erano state rubate dalla pagina Facebook in cui i produttori del fil “Revolution Man” hanno postato le foto del backstage.

La posizione ufficiale di Mosca sull’attacco chimico che ha ucciso dozzine di civili in Siria — e che ha creato il presupposto per il raid “one shot” con cui gli occidentali hanno colpito gli assadisti per marcare l’inaccettabilità del superamento di certe red line — è già da giorni étrange. Per i russi, infatti, i morti di Douma sono il frutto perverso di un’operazione false flag architettata dai servizi segreti inglesi, usando la protezione civile siriana (gli White Helmets, già demonizzati da decine di storie inventate sulle loro concussioni con al Qaeda), per distogliere l’attenzione del caso Skripal — tra Londra e Mosca i rapporti sono avvelenati dal tentato assassinio al nervino dell’ex spia russa, per cui i primi accusano i secondi di un regolamento di conti con un traditore, inaccettabile per gli inglesi, che intorno ci hanno costruito un caso diplomatico non svincolabile dalla decisione di agire in Siria.

È stato lo stesso rappresentate russo all’Onu a diffondere la ricostruzione, portando a un livello superiore certe posizioni difensive propagandistiche. I russi dicono di avere le prove di ciò che affermano, e sulla base di queste, nei giorni in cui la rappresaglia contro il regime siriano era ben più feroce dei fatti nei tweet della presidente americano Donald Trump, avevano minacciato di obliterare ogni tentativo occidentale di colpire Bashar el Assad.

Poi ci sono stati contatti diplomatici attraverso canali ibridi, politico-militari, e alla fine i russi hanno ricevuto in anticipo informazioni sulle coordinate dei raid, così da evitare danni collaterali e mantenere il livello dell’intervento quasi soltanto sul piano politico.

Nessuna delle batterie anti-aeree russe è entrata in azione. Nessun missile è stato abbattuto da Mosca, che però per giorni aveva promesso di buttare giù tutti gli ordigni lanciati contro la Siria e addirittura di vendicarsi con chi avesse condotto eventuali attacchi. La questione delle intercettazioni dell’attacco è un buon termine di analisi.

C’è stata una campagna comunicativa inserita nel solco dell’invincibilità putiniana, restata però ferma nell’ambito dialettico. Sia per spingere la narrazione a uso interno, con cui il Cremlino cerca di mantenere in un clima di legittimazione la presa sul potere. Sia in proiezione extra russa, quella che affascina fanatici in giro per il mondo tanto quanto leader populisti in cerca di un autore che ne possa scrivere le linee guida sulla politica estera.

Ma sebbene, in accordo con americani, francesi e inglesi, siano rimaste ferme le batterie S-400 — i migliori sistemi anti-aerei russi, promessi in vendita alla Turchia, contropartita per la riqualificazione russa di Ankara, utile a destabilizzare ulteriormente i rapporti turchi con l’Occidente e soprattutto la NATO — Mosca ha sposato la linea siriana pensata a Teheran. Gli account Twitter delle ambasciate russe in giro per il mondo (sempre molto assertivo sulla propaganda, anche quella che passa per le alterazioni più avventate dei fatti) hanno rimbalzato per il globo conteggi pazzeschi sull’efficienza del sistema di difesa aerea siriano, composto prevalentemente da pezzi di era sovietica.

La ricostruzione di Damasco — dove il dittatore Assad, già la mattina del raid, è corso per farsi riprendere in un’immagine di ordinaria quotidianità mentre entrava nel suo ufficio presidenziale e combattere con altrettanta propaganda le voci che lo davano in fuga dalla Siria — è da film hollywoodiano di basso livello. Settantuno dei 105 missili sparati dalla triade franco-anglo-americana sarebbero stati intercettati secondo i siriani.

La propaganda russa e siriana ha rilanciato l’informazione tramite le dozzine di canali dedicati, i troll sistemici si sono messi al lavoro, la spugna popolare ha recepito (con una fetta che va dall’anti-americanista uguale, quello dei centri sociali comunisti e quello dello celtiche sul bomber, fino al populista becero e disinformato che vuole soddisfatta la sete di complotto e chissà perché pende dalla bocca russa).

In pochi si chiedono non tanto se gli intrepidi siriani dicano il vero, ma anche solo se sia possibile un così enorme record di intercettazioni. Niente: la celebrazione mediatica degli eroi delle batterie anti-missile assadiste imperversa a ritmi tremendi, diffusa dai centri da cui i russi muovono la guerra informatica (uno di questi, il più Rambo di tutti, sarebbe un sergente che seduto nel suo pezzo da collezione sovietico avrebbe intercettato 16 iper tecnologici missili cruise Nato in meno di un’ora).

In realtà, spiega in una dettagliata analisi tecnica il sito specializzato The Aviotionist, pare che i siriani abbiano aperto il fuoco della contraerea solo quando l’ultimo cruise franco-anglo-americano era già arrivato sulla Siria.

Il Pentagono (con consapevolezza sulle conseguenze, è evidente) ci ha provato a fornire una spiegazione. Non s’è limitato a dire “tutti i missili sparati hanno colpito gli obiettivi prestabiliti”, che quella, si dirà, potrebbe essere altra propaganda (certo, non fosse che di solito i giornalisti in Occidente sono veramente indipendenti, e se i politici dicono baggianate poi rapidamente lo scoprono e lo scoperchiano: in Russia, in Iran, in Siria, funziona diversamente).

Non solo, dunque: la Difesa americana dice che intercettare un missile da crociera (che viaggia secondo una traiettoria guidata) con i sistemi siriani è piuttosto difficile, perché lavorano in via balistica (insomma, come colpire un piccione lanciando un sasso a palombella morbida). Di più: la contraerea siriana ha sistemi che senza l’integrazione di un apparato radar non potrebbero mai intercettare un missile, spiegano gli esperti. Il Guardian ha pubblicato un report mostrando le foto satellitari degli obiettivi colpiti.

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