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Sulla Siria, l’Italia è prigioniera della sua politica autoreferenziale. Parla Dottori

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L’attacco chimico a Duma, nella periferia di Damasco, ha riportato sulla Siria l’attenzione di una comunità internazionale che si occupa di medioriente a corrente alternata. La politica romana, invece, rimane concentrata su sé stessa. Al nostro Paese sembra ancora mancare la consapevolezza della magnitudine di ciò che accade al di fuori dei nostri confini. Questo il parere dell’analista di Limes e docente all’Università Luiss Germano Dottori, raggiunto telefonicamente da Formiche.net per commentare gli ultimi sviluppi che hanno coinvolto Damasco e dintorni.

Dottori, Francia, e in misura minore Gran Bretagna, si sono espresse duramente sulla questione siriana dopo l’attacco chimico a Duma, unendosi agli Usa nella condanna al regime siriano. L’Italia, a parte una dichiarazione di rito del ministro degli esteri, sembra guardare altrove. Possibile che i Presidenti dei due rami del parlamento, i leader politici, non riescano togliere lo sguardo per un attimo dalla campagna elettorale post-elezioni per dire qualcosa su quello che accade ai confini dell’Europa?

Le scelte di Francia e Gran Bretagna sono logiche. Intravedono la possibilità di far ripartire il progetto abortito nel 2011, recuperando influenza nel Mediterraneo e scongiurando la possibilità che abbia successo l’originario progetto di Trump, di cui era un elemento essenziale l’accordo di sistema con la Russia di Putin. L’Italia è da tempo del tutto concentrata su sé stessa, senza che la gente e la sua classe dirigente capiscano la magnitudine e la gravità dei problemi internazionali incombenti. Se la crisi tra Stati Uniti e Russia si aggravasse ulteriormente, i margini d’azione nel nostro paese si restringerebbero sensibilmente. Non solo sul piano esterno, ma anche su quello interno. Potrebbe essere condizionata anche la formazione del nuovo governo, per effetto di veti esteri contro partiti o personalità singole del nostro sistema politico.

Tornando all’attacco chimico dell’altro ieri, quali sono le fonti da cui proviene l’accusa contro il regime? Si tratta solo di Elmetti bianchi e Osservatorio dei diritti umani?

Onestamente, non lo so e secondo me non conta molto. Le manipolazioni dell’informazione in Siria sono costanti e molteplici. Meglio affidarsi alla logica. Comunque, l’Osservatorio londinese dei diritti umani, composto da un’unica persona, raccoglie e veicola qualsiasi notizia utile politicamente alla causa di coloro che vogliono il regime change a Damasco.

La Russia, tempo fa, aveva avvertito di un probabile futuro attacco chimico dei ribelli. Qual è la sua opinione? Assad ha effettivamente bombardato i civili con il cloro, o, come sostiene qualcuno, sono i ribelli che organizzano questi attacchi per screditarlo?

È tutto possibile. Rilevo però che rispetto al caso in cui a Ghouta vennero usati i gas nervini la possibilità di un uso di armi chimiche da parte del regime è in questo caso più elevata. È meno improbabile, per una serie di ragioni. La partita in corso deve essere chiusa il prima possibile, innanzitutto, anche perché Mosca vuol ridurre presto il proprio impegno in Siria. Inoltre, i riflettori erano puntati altrove in questi giorni, mentre cinque anni fa c’erano già ispettori internazionali in Siria. E poi al cloro si è fatto spesso ricorso in questa guerra – non solo da parte lealista – senza che ciò destasse scandalo. Quindi le mani sul fuoco non ce le metterei. Però è in piedi anche la pista dell’attacco sotto falsa bandiera, un classico di questa stagione di conflitti dominata dall’uso strategico dei social media. Il bersaglio, come nel caso Skripal, sarebbe allora Trump, di cui sono note tanto la volontà di ritirare i soldati dalla Siria quanto la sensibilità alle violazioni del diritto umanitario bellico. Nel 1999, l’attuale Presidente si schierò per l’intervento in Kosovo proprio per fermare le stragi, anche se poi ne criticò la gestione. Qualcuno potrebbe desiderare un’altra sventagliata di cruise. Se ci sarà, vedremo se i russi saranno avvertiti per tempo come l’altra volta, in modo da evitare incidenti, oppure no.

Oggi termina la visita di Bin Salman in Francia. Quest’ultima, con Macron, manifesta un crescente attivismo in politica estera. Che vuol dire questa intesa Franco-Saudita, condita peraltro da ingenti vendite di armamenti? La Francia ha chiesto espressamente in sede Ue di imporre sanzioni contro Teheran per il programma missilistico, ora tuona contro il Regime siriano e quindi contro i suoi alleati, Russia e Iran. Realpolitik?

Direi che Parigi trae le conclusioni più logiche dello scenario che sta maturando. Macron ha scelto di allinearsi a Trump, quando avremmo dovuto farlo noi. Sulla Siria, ora Parigi perfeziona l’allineamento a Washington, Gerusalemme e Riad, dopo essersi già distanziata dalla Turchia e dal Qatar. Tornerà molto verosimilmente nel mirino di Daesh, per via dell’appoggio dato ai curdi, come sinistramente ha fatto capire Erdogan. Ma i vantaggi in Medio Oriente e Nord Africa dovrebbero garantire una compensazione più che soddisfacente. La debolezza dell’Italia risulterà purtroppo più evidente

Trump condivide fino in fondo la linea dei falchi, o se in realtà cerca di ruggire per tenere buono il Deep State in vista del medio termine, senza però arrivare ad azioni concrete (il fatto che il raid di stanotte non fosse americano potrebbe significare qualcosa). Se è così, però, perché ha cacciato Tillerson e McMaster?

Trump non condivide la linea dei falchi, ma li usa per rafforzare la propria credibilità, per fare paura. Come diventano inutili, li caccia senza troppi problemi. McMaster voleva mandare 80mila soldati in Afghanistan, il paese maggior produttore di droga al mondo, e il Presidente gliene ha offerti 4mila. Tra Trump e il Deep State non può esserci alcuna tregua. È una battaglia all’ultimo sangue. Secondo Jerome Corti, giornalista del New York Times ed autore del bestseller “Killing the Deep State”, sarebbe in ballo addirittura il controllo del traffico mondiale di stupefacenti, che sarebbe gestito proprio dagli apparati contro cui lotta Trump. Questa gente può tutto. Ciò non toglie che Trump possa essere genuinamente arrabbiato per la presunta mancanza di controllo dei russi sui propri alleati o su eventuali settori deviati dei loro servizi, se convinto della loro colpevolezza. La situazione è delicata.



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