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Nessuno stop alla missione in Niger, la smentita della Difesa italiana

niger

La missione in Niger procede come programmato, non c’è nessuna ipotesi di ritiro del contingente e non ci sarà nessuno stop delle operazioni. È la smentita dello Stato maggiore della Difesa italiano alle indiscrezioni, circolate su alcuni organi di stampa, secondo cui il presidente nigerino Mahamadou Issoufou avrebbe chiesto di rimodulare la spedizione dei nostri soldati, già presenti nel Paese in circa 40 unità. Il dicastero di via XX Settembre ribadisce la posizione italiana: la missione procede perché basata su un accordo di collaborazione e sulla richiesta delle autorità competenti.

LA NOTA DELLO STATO MAGGIORE DELLA DIFESA

“In merito a quanto riportato da alcuni organi di stampa circa la sospensione della missione in Niger, si ribadisce quanto recentemente dichiarato pubblicamente dal capo di Stato maggiore della Difesa, che stanno proseguendo le attività programmate del nucleo di ricognizione per attività di collegamento e preparazione, di intesa con le autorità nigerine, e di predisposizione all’approntamento della base italiana in Niger”. È quanto si legge nel comunicato dello Stato maggiore della difesa. “Non ci sono quindi ipotesi di ritiro del personale militare italiano”, spiega ancora la nota: “La missione si svilupperà in pieno accordo con le autorità locali”, e la sua dimensione numerica resta “quella stabilita dal Parlamento (un massimo di 470 unità, ndr), comprensiva dell’aliquota destinata al supporto logistico e sanitario, e sarà modulata in base alla situazione del teatro operativo e alle esigenze addestrative da soddisfare”.

LE PUNTATE PRECEDENTI

Il presunto dietrofront del presidente ìIssoufou è solo l’ultimo segnale di un’insofferenza che alcuni esponenti del governo di Niamey avevano già palesato. Nonostante l’accordo siglato lo scorso settembre dal ministro della Difesa Roberta Pinotti con il collega Kalla Moutari, già a gennaio l’emittente francese Rfi lanciava la lamentela del ministero degli Esteri nigerino per “non essere stati consultati”. Quelle indiscrezioni, giunte da fonte anonima, erano da molti state considerate un segno della mal sopportazione dell’impegno italiano da parte dei cugini d’oltralpe, che considerano la regione del Sahel come di propria competenza. Secondo alcuni, infatti, nonostante l’iniziale apprezzamento per un appoggio italiano in una zona che si sta dimostrando sempre più instabile e pericolosa, i francesi si sarebbero poi resi conto che la missione poteva affidare all’Italia un nuovo protagonismo nell’aerea. Eppure, il 10 marzo, interveniva su Rainews il ministro dell’Interno Mohamed Bazoum, definendo la missione “inconcepibile”;: una doccia fredda per l’Italia mentre le operazioni erano state già avviate. La risposta delle autorità italiane è sempre stata molto chiara: la missione ha preso il via e procederà solo su richiesta e con il consenso delle controparti nigerine. Resta poco chiaro se tutti questi segnali siano da attribuire a resistenze locali, a contrasti interni al governo di Niamey o alle pressioni francesi. Intanto, fa sapere la Difesa, la missione procede.

LA MISSIONE…

Secondo il provvedimento approvato a gennaio dal Parlamento italiano, il tetto massimo per i nostri militari nel Paese è di 470 unità (a cui si aggiungono 130 mezzi terrestri e 2 aerei) di cui 120 da schierare entro giugno. Ad ora, come ricordava il capo di Stato maggiore della Difesa Claudio Graziano, intervenendo lo scorso martedì al forum organizzato da Ansa e Cesi, “il personale (circa 40 unità, ndr) per preparare la base in Niger è già in loco”. L’obiettivo della Missione bilaterale è “supportare nell’ambito di uno sforzo congiunto europeo e statunitense, lo sviluppo delle Forze di sicurezza nigerine per l’incremento di capacità volte al contrasto dei traffici illegali e delle minacce alla sicurezza. A ciò si aggiunge “concorrere alle attività di sorveglianza delle frontiere e del territorio, e di sviluppo della componente aerea”.

…E GLI OBIETTIVI

Per l’Italia, spiegava su Airpress Stefano Silvestri, direttore di AffarInternazionali e consigliere scientifico dell’Istituto affari internazionali (Iai), la missione ha più di una ragione. Primo, “la Libia e la necessità di meglio regolare il flusso dei migranti e la condizione dei clandestini. È illusorio pensare di stabilizzare il Paese se non si pone sotto controllo il flusso di instabilità che viene da sud e che coinvolge, attraverso confini invisibili e porosi, tutte le tribù del Sahara. Secondo, accrescere la solidarietà tra europei su terrorismo e criminalità organizzata, e quindi su migrazioni clandestine. Partecipare a uno sforzo che vede già in prima linea francesi e tedeschi è un passo importante in questa direzione”.


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