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Una farsa chiamata Terza Repubblica

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Ma che roba è questa classe dirigente della Terza Repubblica? Mi si dirà, li abbiamo votati noi, è quello che ci meritiamo. Ed in effetti il discorso non fa una grinza. Però va detto con franchezza che lo spettacolo cui stiamo assistendo è pessimo, sciatto, politicamente miope, contenutisticamente modesto, moralmente abbastanza miserabile. Oggi Renzi va in piazza a Firenze e fa un sondaggino volante per farsi dire che l’accordo con M5S non si deve fare. Per carità, quelli l’hanno coperto d’insulti per anni, sul piano emotivo lo si può anche capire all’ex premier ed ex segretario del Pd. Intanto Matteo Salvini dice da settimane che tutto si può fare ma non un governo con Renzi e poi commenta l’ipotesi di accordo Pd-M5S annunciando una “passeggiata” su Roma, denunciandone così a priori la presunta illegittimità o giù di lì. Luigi Di Maio poi disconosce ogni ruolo politico a Berlusconi (votato da 5 milioni di italiani) e il Cavaliere risponde che i grillini sono buoni al massimo per pulire i cessi.

Tutto ciò in un Parlamento eletto con legge proporzionale (votata e voluta più o meno dagli stessi), che quindi non è in grado di esprimere una maggioranza se non attraverso accordi tra “diversi”. Ecco allora il nodo della questione: siamo forse di fronte ad una classe dirigente inadeguata al compito cui è chiamata, chiusa nella difesa del proprio orticello politico ed insensibile ad ogni esigenza del Paese? Probabilmente si, perché a questa conclusione porta il penoso spettacolo di queste settimane. Questa raffica di veti incrociati non è orgoglio politico per evitare di svendere idee e programmi sull’altare della convenienza, è soltanto palese incapacità di agire sul fronte del “fare”, restando così corazzati “dentro” i profili social, come se la vita politica al servizio delle istituzioni possa essere ingabbiata nella battaglia quotidiana dei tweet. La politica è anche generosità, è capacità di mettere in tasca l’orgoglio per sfidare la realtà plasmandola. È volontà fortissima di non inseguire gli istinti peggiori, ma di aiutare l’opinione pubblica a guardare con approvazione chi mette in campo idee costruttive, atteggiamenti concilianti, proposte condivisibili.

Per carità, alcuni sforzi si vedono. Bene il percorso “programmatico” del M5S, ma se poi tutto viene immolato sull’altare dell’improbabile divorzio tra Berlusconi e Salvini (che peraltro si sono presentati agli elettori insieme, che nessuno lo dimentichi) si scivola rapidamente nell’approccio velleitario. Bene gli sforzi del reggente Maurizio Martina, ma se poi viene cannoneggiato innanzitutto dai suoi (Orfini, Calenda, Gozi, Ascani, Serracchiani e molti altri) ecco che la partita rischia di finire prima di cominciare. Chi scrive non ha mai creduto alle chances di questa legislatura, perché troppe tossine sono entrate nel sistema negli ultimi anni.

Questo però non giustifica la miseria dello spettacolo cui stiamo assistendo. Governare è arte difficile e non serve atteggiarsi a fenomeni. Sta riuscendo Virginia Raggi a mostrarsi definitivamente “migliore” dei suoi predecessori in Campidoglio? Non direi proprio. È riuscito Matteo Renzi a “rottamare” tutto quello che voleva? Non direi proprio. Oggi lui è costretto a leccarsi le ferite di brucianti sconfitte, dopo essere stato il “padrone politico” d’Italia per tre anni. Ci vuole senso della misura per governare, altro che “Vaffa” (ogni riferimento è voluto). Allora vediamo di darci una agenda seria per i prossimi giorni. Facciano in fretta M5S e Pd quest’ultimo tentativo e ci dicano entro la prossima settimana se hanno quagliato qualcosa (e sarebbe buona cosa vederlo accadere). In caso contrario dica Salvini ( in pochissimi giorni) se è pronto ad uno schema diverso, magari con un centro-destra che si presenta in Parlamento con un programma d’interesse nazionale.

Se neanche questo si può fare si vada ad un governo breve (ma potrebbe benissimo restare quella persona seria che è Paolo Gentiloni) per fare una buona manovra di bilancio e sistemare in Parlamento un aggiustamento della legge elettorale per portarci alo voto “utile” in tempi ragionevoli. Questo è uno schema serio, da svolgere senza fare patetiche sceneggiate (ne stiamo vedendo tutti i giorni) e con quel minimo sindacale di senso delle istituzioni. Oggi è il 25 aprile, c’è gente che è morta per la libertà, per la democrazia e per la dignità delle istituzioni (e quindi della politica).

E poi siamo a quarant’anni dal sacrificio di Aldo Moro, che ha perso la vita (e quella dei suoi cinque angeli custodi) perché voleva a tutti i costi un accordo di governo difficile e per molti versi “innaturale”. Un accordo di governo cercato contro le logiche di potere, ma nella speranza di aiutare una nazione schiacciata dalla morsa del terrorismo e della crisi economica. Già, Aldo Moro. Questi qui, questi di adesso, probabilmente potrebbero domandarsi così: “ma Moro, bravo sulla fascia sinistra, in che squadra giocava?”.


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