Donald Trump alla Casa Bianca con Angela Merkel e Mike Pompeo a Bruxelles con i colleghi ministri degli esteri dei paesi Nato. A breve distanza di tempo la leadership politica statunitense ha voluto inviare all’Europa un messaggio forte e chiarissimo. L’alleanza atlantica è inestimabile, occorre che il vecchio continente investa di più in difesa e, soprattutto, è impossibile immaginare di tornare al business as usual con la Russia finché Mosca non cambierà la sua strategia aggressiva. Più chiari di così non potevano essere. Se a parlare fosse stato solo il presidente Usa si sarebbe potuto persino non prenderlo troppo sul serio ed addebitare la durezza del suo tono al rapporto non proprio idilliaco con la cancelliera tedesca. La posizione però del nuovo segretario di Stato non consente alcun alibi. Mike Pompeo è stato per un anno il direttore della Cia ed è una delle persone più influenti – e non solo meglio informata – di Washington DC. Sebbene sia un esponente repubblicano di rito trumpiano, gode di un consenso largo ed a lui vedono con speranza anche molti democratici che confidano in un Dipartimento di Stato più efficace dopo la parentesi deludente di Tillerson. Insomma, Mike Pompeo conta, e non poco. E proprio lo standing deciso contro il Cremlino è uno dei capisaldi di quello che resta di una foreign policy condivisa, bipartisan.
Questo cosa vuol dire per l’Italia? La formula di “Pratica di Mare” resta una eccellente manifestazione di ottimismo ma, ad oggi, non è una idea neppure lontanamente presa in considerazione. Com’è ovvio, nessun problema se il nostro Paese vuole strizzare l’occhio a Putin, ridurre ancora la sua presenza in Afghanistan, magari mettere in discussione la presenza nei paesi baltici ed aumentare gli investimenti in Iran invece che nella Nato. La democrazia e la libertà sono principi inviolabili. Non si può pensare di tenere insieme la botte piena con la moglie ubriaca. Questo non è più il tempo. E guai a pensare che si tratta solo di un “problema” legato all’amministrazione Trump. Credere a questa sciocchezza sarebbe fatale.
L’Occidente può essere in crisi ed avere tutti i numerosi difetti che amiamo segnalare però c’è ancora. La partnership con gli Stati Uniti, per come l’abbiamo conosciuta negli ultimi 70 anni, non è un dato acquisito, scontato o immutevole. I tempi che viviamo richiedono scelte importanti in tempi stretti e quasi mai ci sono seconde possibilità. Non è un “prendere o lasciare” ma certamente è la fine di un certo terzismo, anche virtuso, che ha caratterizzato l’Italia nel suo passato. Oggi, e sempre più nei prossimi mesi, saremo chiamati a decisioni delicate e assai difficilmente reversibili.
La voce di Trump e quella di Pompeo sono suonate come un campanello. Sono il segno che non si scherza: gli Stati Uniti fanno sul serio e sembrano volerci chiedere se siamo e saremo al loro fianco (e non ha le sembianze di essere una domanda retorica). Per la politica italiana il tempo del “ma anche” variamente interpretato è finito. O di qua, o di là. Accettandone onori ed oneri e sapendo che, se si sta dalla parte occidentale senza ambiguità, sarà più facile perseguire le politiche di pace e di dialogo cui naturalmente aspiriamo. Nel futuro a breve dell’Italia il fattore Nato (sicurezza internazionale) è destinato a contare più del fattore Def (politica economica). Prepariamoci ad assumerci ciascuno le proprie responsabilità.