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Sul TPP, Trump ha cambiato di nuovo idea, dopo aver cambiato idea

A quanto pare è durata soltanto pochi giorni la seconda chance che il presidente americano Donald Trump ha dato alla Trans Pacific Partnership, l’accordo di libero scambio con altri undici Paesi dell’area pacifica da cui aveva ritirato gli Stati Uniti in una delle prime mosse protezioniste, nazionaliste, America First, fatte dallo Studio Ovale.

Il presidente americano ha scritto su Twitter: “Mentre il Giappone e la Corea del Sud vorrebbero che noi tornassimo nel TPP, a me non piace come deal per gli Stati Uniti. Troppe contingenze e nessun modo per uscire se non funziona. Le offerte bilaterali sono molto più efficienti, redditizie e migliori per i nostri lavoratori. Guarda come è pessimo il Wto per gli Stati Uniti”.

Soltanto venerdì scorso la Casa Bianca – dopo un meeting con congressisti e rappresentati pressanti dell’industria agricola – aveva annunciato di aver dato incarico ai consiglieri che si occupano di commercio ed economia di valutare la possibilità di ri-inserimento nel trattato, con dei distinguo chiari: Trump vorrebbe creare le condizioni affinché l’accordo – che lui vede come un peso multilaterale sull’andamento vis-a-vis che vuole imporre alle sue relazioni internazionali – fosse vantaggioso per gli Stati Uniti.

Su Twitter (ormai ci si è abituati che da lì passa la strategia) Trump aveva ventilato la possibilità di rientro, chiedendo però un rapporto fairy ai partner che – a suo modo di vedere – sfruttano la presenza americana alle loro spalle per portare avanti i propri interessi commerciali, creando sbilanci import/export a loro favorevoli. Trump diceva di aver comunque già intavolato diverse intese bilaterali con i membri del TPP, e annunciava la prossima chiusura del più importante di questo genere di accordi, quello diretto col Giappone (accusandolo, per altro, di non aver portato avanti un rapporto commerciale sincero con gli Stati Uniti).

Da Martedì a Mar-a-Lago, buen retiro presidenziale in Florida, c’è il premier nipponico Shinzo Abe, il più impegnato nel tentativo di far rientrare l’America tra i capi dei governi coinvolti nel TPP. Il programma prevede partite di golf sul 18 buche del resort – i due leader sono appassionati – che serviranno ad alleggerire il il clima attorno alla costruzione delle future relazioni tra i due alleati (non c’è troppa simbiosi in questo momento, Trump non ha incluso il Giappone tra i paesi a cui non verranno applicate tariffe addizionali sull’alluminio, ma il vertice servirà a creare una sintesi strategica non solo sul commercio, ma anche sui dossier caldi come la Corea del Nord e il Mar Cinese).

Il retro front sul retrofront a proposito del TPP è un colpo tosto soprattutto per il Giappone. L’incontro con Abe è di primario interesse, perché i due paesi sono alleati storici: il peso del Giappone nella strategia americana nel Pacifico è enorme; Tokyo ospita la flotta che il Pentagono dedica all’area, è un partner fondamentale nella strategia di contrasto alla Cina, è una sponda sulla crisi nordcoreana; i giapponesi sono secondi soltanto ai cinesi nel detenere i buoni del Tesoro americano.

Mentre le notizie che escono dicono che l’amministrazione Trump ha promesso ad Abe che si prenderà carico della questione dei giapponesi rapiti dal Nord (inserendola nei negoziati con Pyongyang, con cui sono iniziati i contatti di alto livello prima del vertice presidenziale), la retromarcia sul TPP potrebbe essere pesante.

Abe è piuttosto riluttante sull’ingresso in un deal bilaterale, perché teme che gli americani possano chiedergli troppo, mentre il meccanismo allargato del TPP gli permetterebbe di beneficiare di maggiori concessioni. Per questo certamente continuerà a lavorare per far rientrare gli americani.

Nota di folclore, ma non solo: non è chiaro come mai Trump nel suo tweet programmatico abbia menzionato la Corea del Sud, che non è un membro del TPP. Forse si è sbagliato? Oppure il presidente ha cercato di nuovo di pressare Seul, altro alleato accusato di sfruttamento e con il quale è in via di definizione un accordo commerciale che Washington vorrebbe più equilibrato?

Input dal contesto: mentre Trump ha alzato un altro claim America First – che sembra sul solco della volontà di isolare gli Stati Uniti – in questi giorni Giappone e Cina hanno riaperto dopo otto anni il meccanismo di dialogo economico, e hanno promesso di accelerare le mosse verso un accordo di libero scambio con la Corea del Sud.

Il mese prossimo Abe – eroso nella sua popolarità interna e a rischio caduta – ospiterà nella capitale nipponica l’omologo cinese Li Keqiang e il presidente sudcoreano, artista della diplomazia, Moon Jae-in; poi Abe andrà a Pechino e di rimbalzo il cinese Xi Jinping a Tokyo. Sono contatti che Trump detesta, perché nell’estrema semplificazione della sua visione il mondo è estremamente polarizzato in alleati, amici, fidati, e nemici da combattere.


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